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mercoledì 31 marzo 2010

La Furnaredd'


La Furnaredd' ( nella foto ) serviva ai contadini per mantenere il vino e l'acqua fresca nei periodi estivi durante i lavori nelle campagne.
Di solito era scavata nel terreno e ricoperta di pietre. La bocca era rivolta ad Est.



Era un vero e proprio frigorifero naturale.

venerdì 19 marzo 2010

r' fuc r San Giusepp

Come da tradizione , ogni anno a Rionero in occasione del 19 Marzo festa di San Giuseppe e del Papà, si svolgono fuochi di San Giuseppe o meglio i falò.Tradizione antichissima che risale alla notte dei tempi. Non si sa di preciso a cosa era dovuta ma, presumibilmente, si festeggiava la fine dell' Inverno e l'arrivo della Primavera.Fino a pochi anni fa, si era soliti, nei giorni che precedevano il 19 Marzo, andare per le campagne a raccogliere r' Zeppr ( i rametti delle viti potate e anche i rami di olivo appena potati), fare i Mattlecchj e portarli in paese nella zona di quartiere dove poi si sarebbe acceso il falò.Veniva utilizzato qualsiasi mezzo di trasporto: dal motazzap, alla cariol', a u ciucc' qualcuno anche con il vespino.In questa raccolta erano impeganti tutti i quartieri di Rionero.Si gareggiava a chi faceva il falò più grande. Una volta effettuata la raccolta r r' zeppr' si preparava u Casazz' e su di esso si poneva la bambola ( un fantoccio di pezza ) ripiena di petardi.La sera del 19 Marzo era una vera e propria festa, u Casazz' veniva acceso; si sparavano i trunecchj e si accendevano r' fiammell', si organizzavo balli e suoni.Momento davvero bello e atteso da tutti era quando le fiamme raggiungevano la bambola e questa prendeva fuoco.Si rimaneva vicino alla brace fino a notte tardissima e, al rientro nelle proprie case, la gente si portava un pò di brace per dare un buon auspicio alla casa.Negli ultlimi anni, questa festa si è un pò ridimensionata ma in alcuni quartieri di Rionero viene ancora svolta.Quest'anno i quartieri che hanno organizzato i falò sono:U Chian' r Cicc' tonn' e a Piazza XX Settembre.

sabato 13 marzo 2010

Quando sognavamo GIUSTIZIA E LIBERTÀ

Carissima Barbara, ho voglia di raccontarti tantissime cose (due o tre almeno) ma non so da che parte incominciare. Comincerò allora con un fatto antico, antichissimo, quasi un episodio d' infanzia: che potrebbe, dovrebbe (vorrebbe?) commuoverti. Nei primissimi anni del dopoguerra c' era in Italia una cosa bellissima: il Partito d' Azione. In Lucania l' aveva fondato zio Valentino, con altri giovani antifascisti. Altri antifascisti - giovani o meno giovani - l' avevano fondato in tutta Italia. Il Partito d' Azione veniva fuori da una tradizione degnissima. Dal gruppo di "Giustizia e Libertà"; che era stato fondato da Carlo e Nello Rosselli, due meravigliosi antifascisti fiorentini, che il Fascismo aveva fatto uccidere: esuli in Francia. Il Partito d' Azione è stato l' unico gruppo politico organizzato a fare del vero attivo antifascismo, durante il ventennio, accanto al Pci. I suoi rappresentati avevano fondato il Non Mollare, quando tutti mollavano. Poi andarono, uno dopo l' altro, in galera e ci rimasero per un bel po' . Ernesto Rossi, l' economista ( autore di Abolire la miseria; I padroni del vapore, Settimo non rubare) anche per tredici anni di fila. Chi ha fatto la resistenza? Due gruppi politici: i comunisti e gli "azionisti" (che venivano anche chiamati sprezzantemente "visipallidi" perché non avevano la faccia contentae biscottata alla Berlusconi). In che cosa gli "azionisti" erano diversi dai comunisti? In questo: volevano la Giustizia, ma volevano anche la Libertà. Benedetto Croce diceva che non era possibile. Che se tu vuoi proprio la Giustizia, l' Uguaglianza, finirai fatalmente col rinunciare alla libertà. Farai la fine della Russia di Stalin. Gli "azionisti" erano fermamente avversi alla Russia di Stalin. Mai, neppure per un momento, cedettero alle fiabesche sciocchezze che sulla Russia comunista i comunisti italiani allora dicevano. E che si sono dimostrate sanguinosamente false. Questo li rendeva invisi a Dio ed ai nimici sui. Ai conservatori come ai comunisti ortodossi (con i quali conservarono però sempre un rapporto di affettuosa, rissosa familiarità). Nel Partito d' Azione militavano tutti (o quasi tutti) gli intellettuali italiani di quegli anni. Quelli grandi, di cui non ti faccio i nomi perché non ti direbbero nulla (De Ruggiero, Omodeo, Arturo Carlo Jemolo, Calamandrei, Codignola) e tanti altri più piccoli. Anche per questo, anche per questo prestigio, il Partito d' Azione ebbe subito fortuna, in tutto il Paese. Che aveva contribuito a liberare dai fascisti e dai nazisti. Pensa che a Rionero, paesino di dodicimila abitanti, la sezione fondata da zio Valentino contava seicento iscritti. Poi cosa accadde? Accadde che questi intellettuali si miseroa litigare fra di loro. Arrivò la scissione, consumata in un dolorosissimo, drammaticissimo congresso a Roma, al Teatro Italia (che si trova intorno a Piazza Bologna). Il Partito d' Azione si sciolse. I suoi rappresentati più bravi si distribuirono tra i vari partiti della sinistra italiana. E vi hanno fatto le cose migliori. Cosa sarebbe stato il Partito Repubblicano italiano senza Ugo La Malfa? Cosa sarebbe stato il Partito Socialista italiano (quello di Nenni, non quello attuale di Craxi) senza Riccardo Lombardi? E questi nomi forse ancora dicono qualcosa (spero) a quelli della tua generazione. Il Partito d' Azione si sciolse, ma non si dissolsero nel nulla i suoi componenti: anche quelli più piccoli, in ogni senso. Continuarono ad operare nella società civile, dentroe fuorii partiti, dentroe fuori le Università, dentro e fuori i sindacati. Mai rassegnandosi all' ondata di restaurazione che intanto era arrivata. La prima delle tante ondate di restaurazione che di tanto in tanto affliggono il nostro Paese. Ondata di restaurazione propiziata da un enorme imperdonabile errore del Partito comunista di allora: presentandosi come paladino della Russia di Stalin - che aveva impiccato abbondantemente, che continuava ad impiccare allegramente - i comunisti resero più agevole l' inondazione democristiana del 18 aprile 1948. Inondazione che perdura; dalla quale cerchiamo faticosamente di riemergere. Fra quegli "azionisti" c' era anche il tuo papà: piccolo, piccolissimo allora; piccolo, piccolissimo sempre. E che non ha mai dimenticato quel giorno lontano. Quando la notizia ufficiale dello scioglimento arrivò. Quando la sezione del Partito d' Azione di Rionero fu chiusa. Quando quelle bandiere gloriose, ardimentose (le bandiere del Partito d' Azione erano rosse, con lo stemma di G. iustizia e L. ibertà) nel mezzo: gli azionisti si chiamavano "compagni") si ammonticchiarono nel cortile della nonna: dove erano state portate amorosamente da zio Valentino. E poi furono mandate al macero. Mai dimenticato. Perché morì il Partito d' Azione? Ce lo si è chiesto molte volte. Dedicò all' interrogativo le sue riflessioni Palmiro Togliatti. Forse abbiamo una spiegazione. Che potrebbe interessare l' antropologo. Morì perché terribilmente astratto. Composto da intellettuali, aveva l' intellettualistica convinzione che gli uomini fossero fatti di sola razionalità. E che quindi bastasse fare appello alla loro ragione per convincerli a votare. Gli uomini (tutti gli uomini e tutte le donne: anche noi, non solo "gli altri") sono fatti anche di miti, di pulsioni profonde e inconfessabili, di ambizioni, di interessi. In una cosa invece il Partito d' Azione aveva ragione. Così come «non si fa la poesia con i sentimenti, ma con le parole» (l' ha detto Paul Valery) non si costruisce la società giusta con i sentimenti, siano pure i più nobili, ma con le articolazioni istituzionali. Ed è questo che avrei voluto dire agli studenti dell' Università di Roma; è questo che vorrei dire a tutti coloro che stanno dentro a questo dibattito sulla nuova sinistra da costruire: a quelli del no, a quelli del sì, a quelli del forse. Lo avrei detto - tanto per cambiare - nella forma di un raccontino. Che si riferisce anch' esso - tanto per non cambiare - alla mia "infanzia" lucana. Il racconto ha una premessa. La seguente. Non è che sia venuta meno in noi la voglia di volare. Negli "azionisti" non viene mai meno. E adesso tu sai che tuo padre è un "azionista": non nel senso finanziario del termine, fortunatamente. No, la voglia di volare alto, di non strisciare per terra, di non vegetare, è sempre quella. Ma come si fa a volare? Quand' eravamo ragazzi, a Potenza, ci pensavamo sempre, talvolta ne parlavamo. Una volta, passeggiando passeggiando, ci trovammo sul ponte di Montereale, che è altissimo e maestoso. Uno di noi, che si chiamava Brucoli - e quindi era della dinastia dei gelatai di Potenza, e quindi apparteneva alla buona società potentina - ad un certo punto si affacciò dalla spalletta del ponte, guardò in giù (cinque metri di altezza). Poi prese il suo bastone - si poteva permettere di andare in giro con un bel bastone liberty fra le mani - e lo buttò. Poi chiese a noi - che con lui ci eravamo affacciati a guardare nella valle sottostante - ha volato il mio bastone? Si è fatto forse male? E allora volerò anch' io. Si buttò giù, e si ruppe tutte e due le gambe. La voglia di volare - generosa e legittima - che animava i comunisti classici, che anima oggi alcuni gruppi di studenti, rassomiglia a questa. Non porta da nessuna parte. Solo ai disastri, personali o collettivi. Abbiamo imparato poi a volare. Ma rispettando le leggi di gravità, non violandole. Ma rassegnandoci ad essere - paradossalmente - più pesanti dell' aria, senza illuderci di poter mai diventare più leggeri. Ma costruendoci dei dispositivi artificiali e complessi: estremamente artificiali, estremamente complessi. Che non ci danno la soddisfazione del volo umano, ma ci fanno andare per aria, a rispettabile velocità. E non è questa la civiltà, non è questo il progresso? La civiltà è una continua costruzione di protesi, un assiduo artigianato ortopedico. Per correggere l' inuguaglianza di partenza nel senso dell' uguaglianza; per correggere le ingiustizie di base nel senso della giustizia. Non ci si può aspettare che la libertà di stampa arrivi solo perché da qualche parte qualcuno si illude di aver costruito, o trovato, o inventato l' "uomo nuovo". Solo perché è stato eliminato il capitalismo. Come pensavano i comunisti dell' altro ieri. Come pensavano quegli studenti di ieri. Questo vale a maggior ragione per la libertà di stampa: che si costruisce - e si custodisce - non con gli esorcismi verbali all' indirizzo del capitalismo, ma con un artigianale lavoro di revisione delle leggi. Tenendo conto di resistenze, inerzie, interessi, eccetera. Cara Barbara, non sono sicuro che questi uomini di sinistra del "forse" siano migliori di quelli del "sì", e di quelli del "no". Però sono la mia cultura, la mia biografia, la mia storia, hanno qualcosa del vecchio (e mai morto) spirito azionista. Provarci sempre, non cedere mai. Senza paura di fare. Senza paura di sbagliare. Un abbraccio dal tuo papà - BENIAMINO PLACIDO

Repubblica — 08 febbraio 2010 pagina 33 sezione: CULTURA

sabato 6 marzo 2010

CHE FESTA CONTADINA IN CAPO AL MONDO

di BENIAMINO PLACIDO

POETICO e felice il Natale del 1941 a Rionero in Vulture, Lucania: altitudine metri 650, abitanti dodicimila, comprese le frazioni. Non lo dico perchè allora si era piccoli, o perchè la memoria successiva è intervenuta ad abbellirlo. No, fu proprio così - come dire? - oggettivamente. E così in famiglia lo ricordiamo. Era il secondo Natale di guerra. Gli uomini erano "fuori": chi in Eritrea, chi in Tripolitania. A casa erano rimaste le donne e noi bambini. Drammatica non era la guerra. Drammatico era il fatto che non si sapeva se sarebbe arrivato per tempo il sale. E senza il sale non si poteva ammazzare il maiale. Cioè, no: certo che lo si poteva ammazzare, e lo si sarebbe ammazzato, comunque. Ma senza il sale non lo si poteva conservare. E pensare che proprio quell' anno, quello cresciuto in casa nostra - a base di granturco, in uno sgabuzzino nel cortile, con un puzzo tremendo che non mi fa apprezzare i libri e i romanzi nostalgici degli odori - quello cresciuto con amore e tremore in casa nostra, dicevo, era una meraviglia di maiale. Intanto, non si era mai ammalato. E poi, era venuto su più grasso e florido di quasi tutti gli altri maiali dei vicini (quasi tutti: c' era sempre qualche maiale più grasso e più fortunato, nel vicinato). Quindi fu un Natale di grande trepidazione. Perchè Santa Margherita di Puglia era un posto remoto, inaccessibile, in capo al mondo. Forse a cento, forse addirittura a duecento chilometri di distanza. Nessuno di nostra conoscenza ci era mai stato. Chissà perchè, le comunicazioni stradali si erano interrotte. I camion col sale non volevano arrivare. Ma il Natale arrivò comunque, e fu comunque degnamente festeggiato. Le donne fecero una quantità sterminata di "pettole", lunghe frittelle tubolari che venivano acciambellate e buttate nella padella. Ogni anno si ingaggiava una gara. Se facevano prima loro a friggerle o noi ragazzi a mangiarle. Vincevamo noi, regolarmente, ogni anno. Vincemmo anche quell' anno, a mani basse. Poi c' erano i polli cresciuti in casa, poi c' era l' olio, poi c' era la pasta fatta in casa. Insomma, sapevamo che saremmo sopravvissuti. E così è stato. E poi c' era - per aiutarci a sopravvivere - la convinzione fermissima che quella guerra così com' era venuta se ne sarebbe andata. Gli uomini sarebbero tornati a casa. Era certo, bastava aspettare. Ci sarebbero state polveri miracolose che avrebbero lavato piatti e pavimenti senza la soda caustica e la "lisciva" che rovinavano alle donne la schiena e le mani. Forse in ogni casa ci sarebbe stata, oltre all' acqua fredda, anche quella calda. Forse ci sarebbe stato il telefono e la televisione. Forse in ogni casa ci sarebbe stato un frigorifero. Il caffè e lo zucchero sarebbero tornati in abbondanza. Le scarpe si sarebbero comprate nuove, qualche volta. Non sarebbero state mandate ogni tre mesi a risuolare. Con questo progresso, con queste "comodità", gli uomini sarebbero diventati pacifici e felici. Perchè, cos' altro se non l' indigenza li rendeva irrequieti e infelici, qualche volta? Fu un Natale con poco da mangiare e pochissimo da sperare, quello del 1941. Un bellissimo Natale.
Repubblica — 24 dicembre 1985 BENIAMINO PLACIDO

venerdì 5 marzo 2010

La Chiesa dei Morti


....ha osservato che la Congregazione del pio Monte dei Morti è sita in un angolo del Paese e che misurata nella sua estensione dalla porta grande fino all'Altare Maggiore sia di palmi 62; che colà fino al muro di sagrestia larghi palmi 20 e lunga 22 circa, che nella medesima esistono un pulpito di legno e due confessionili e finalmente nell'interno di essa vi sono sette sepolture con lapidi di pietre bianche. Che inoltre vi è nuova fabbrica aggiunta lateralmente; che dimostra essersi cominciata a perfezionata tra lo spazio di anni 4 la quale consiste in una nave lamiata con la porta grande accosto l'antica chiesa che forma un'intesa e misura circa palmi 88 di lunghezza e larga palmi 21 circa con un coro non ancora terminato lungo i palmi 15 e largo 20; quale nuova aggiunta dimostra non solo tendente a fortificare l'antica angusta chiesa minacciante rovina, che atta al comodo proporzionato dei confratelli e della popolazione cresciuta fino a diecimila anime; per cui venti anni addietro la chiesa dell' enunciato pio luogo fu destinata parrocchia tra le tre che ne compone quella terra...


archivio di Stato-Napoli Real Camera di Santa Chiara, Bozze di consulta

Da Rionero di F.L.Pietrafesa

lunedì 1 marzo 2010

Calosc'

Calosc' era un soprannome Rionerese e fu attribuito a un fabbro un certo Carmine Brienza, in quanto soldato a Cuneo nella Grande Guerra del 1914-1918, comprò un paio di calosce per non sporcare le scarpe. Venuto in licenza a Rionero, qualche amico vedendolo con quelle copriscarpe del tutto strane e sconosciute, chiese cosa fossero. Carmine rispose in dialetto: Cretino so' r' calosc'. Da allora fu chiamato appunto Calosc'.

da Il Teatro a Rionero maschere e tradizioni di M. Corona