Nel
giorno di S.Michele, la cui grande festa si celebra domani, tutta la
popolazione delle aree limitrofe ha la consuetudine di dirigersi in massa al
monastero; se fossimo abbastanza fortunati di avere bel tempo; tutti
ci
assicurano che vedremo uno degli spettacoli più suggestivi in Italia meridionale.
Siamo partiti di buon'ora con un guardiano ed un uomo a piedi. In un primo momento
la strada, serpeggiante su per la montagna, non era affatto piacevole. Ma
raggiunto il versante occidentale della collina, ci siamo addentrati in
bellissimi boschi di faggio, la cui foltezza e dimensioni aumentavano man mano
che avanzavamo. Dopo aver attraversato queste foreste ombreggiate, il sentiero piega
verso
l'interno
di una profonda valletta, o depressione, anticamente cratere principale del
vulcano. Di li a poco, tra i rami degli alti alberi, si poteva scorgere il
luccichio del lago di Monticchio, nelle cui acque si specchia il monastero di
S. Michele. Modello più perfetto di solitudine monastica è inimmaginabile.
Addossato
a grandi masse di roccia che incombono sull'edificio fin quasi a minacciarlo,
il convento, di per sé già bello a vedersi, sorge sull'orlo di un ripido pendio
che, nella sua 'discesa al lago, si adorna di gruppi di altissimi noci. Alta
sulle rocce addossate al convento, la cima del Vulture si solleva verso il
cielo, completamente ammantata di fitti boschi; e fitti boschi ricoprono anche
i pendii della collina, che si di spiegano a mo' di ali su ciascuna sponda dei
laghi. Lo specchio
d'acqua
più grande fa pensare al lago di Nemi in scala ridotta; solo che l'assenza di
ogni edificio, eccezion fatta per il solitario convento, e la completa
esclusione di ogni prospettiva lontana, rendono perfetta l'incantevole quiete
di S. Michele e del suo lago.
Arrivavano,
intanto, grandi folle di contadini che si accampavano sotto gli alti noci, a
mo' di fiera, com'è consuetudine degli Italiani nelle feste patronali. I costumi,
presi singolarmente, non erano molto pittoreschi, ma l'effetto generale della
scena, ogni elemento della
quale
veniva riflesso chiaramente nell'acqua, era così bello che io non ne ricordo di
uguali.
Abbiamo
visitato la cappella e la buia grotta del santo patrono, e, a mezzogiorno, dopo
aver disegnato fino all'arrivo della pioggia, ci siamo ritirati nelle due linde
celle fatteci preparare dalla sollecitudine di Don Pasqualuccio, il quale ha
anche provveduto a farci mandare, bell'e pronto, un ricco pranzo da Rionero.
Tratto da viaggio in Basilicata di E. Lear 1847
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