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sabato 8 ottobre 2011

Signorotti di Rionero (2)

Quanto ai Giannattasio, erano bravi e soliti imbottigliare sontusi rossi, i vetri spessi e scuri come le loro cantine dove nei decenni si patinavano di una polvere grigiasta e solida;magari ricorrevano anche al degorgement, educati come erano allo spirito, dei vini, francesi; ma sembravano imbottigliare sibi suisque, da regalo per sè e per pochi intimi. L'atrio e i seminterrati del seicentesco palazzo Giannattasio erano pieni di carri, calessi, landau, cavezze imbottite di canapa, lame e coltelli trinciaforaggi, cesoie da potatura, guanti in ferro, ferri per i cavalli, campanacci; e sapevano di giare, olle, bordolesi, damigiane, ventilatori, irroratori, spandizolfo. Ma l'aria che si respiarava al primo piano, nell'ufficio sulla corte, fra il vecchio Giannattasio e l'amministratore don Attilio, sapeva di altro. "Buongiorno, don Peppino" , Buongiorno, don Attilio"." Ci sono novità?" " Nessuna novità". E don Attilio gli passava la copia del Giornale d'Italia. fresca di edicola.
Dopo avere controllato l'orario (le otto del mattino, senza sgarro) don Attilio estraendo dal taschino del gilet la sua enorme cipolla cui proprio allora dava la carica giornaliera, e don Peppino sogguardando il pendolo enorme dell'ufficio, fra le due scrivanie di fronte, il silenzio era solcato solo dal fruscio del giornale di don Peppino, immerso in ripetute letture delle stesse pagine, e dallo scricchiolio del pennino a cavallotta, su conti inconsistenti, di don Attilio. Al rimbombo dilagante delle campane della Chiesa dei Morti, che sommergeva i precisi dodici tocchi del pendolo nell'ufficio, si ropmeva quella tesa vigilia. " E' ora di pranzo, don Peppino". " Buon appetito, don Attilio". E in silenzio, ciascuno recuperava il poco del suo: il giornale gualcito,qualche fattura strapazzata, un chiavetto dal mazzo, per guardare lesto l'uscita, verso l'interno della sala da pranzo, o verso l'esterno del grande portone sbarrato.

tratto da Rionero storie sparse e disperse

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