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sabato 4 dicembre 2010

Che fantasia...rionerese

Le sedie e il tavolo sono in ottime condizioni.
(foto scattata vicino la stazione ferroviaria di Rionero)

domenica 28 novembre 2010

Lu' attarul'




Lu' attarul' era un buco ricavato sulla porta delle cantine.
Serviva a far entrare ed uscire comodamente il gatto per dare la caccia ai topi.

lunedì 1 novembre 2010

Quando l'amore non ha età...anche a Rionero!

Montagne verdi

non so, ma... questa canzone mi ricorda molto i giri per la via r' u pisc' che mio fratello mi portava fare con se sul vespino nelle giornate d' Estate

martedì 12 ottobre 2010

Briganti

Brigantaggio. Un telegramma da S. Bartolomeo in Galdo, del 10 corrente, al Giornale di Napoli annunzia che nel pomeriggio del giorno innanzi ebbe luogo un serio conflitto tra la banda Caruso ed una colonna mista di guardie nazionali e di carabinieri a poca distanza dal paese. La guardia nazionale ebbe un momento di esitazione e nella lotta venne ucciso il carabiniere Santo Vito 1° Pasquale nativo di queste provincie. Mentre un drappello del 46° unito ad alcuni carabinieri era di ritorno dal servizio di corrispondenza venne attaccato improvvisamente al luogo detto Coppo di Cellis, territorio Rionero nella Basilicata, da 20 briganti a cavallo della banda Cina.
Al rumore delle fucilate accorsero sul luogo due altri carabinieri con 20 bersaglieri di San Fele, i quali risposero vigorosamente all' attacco dei masnadieri obbligandoli a darsi alla fuga verso il bosco di S Cataldo sin dove vennero inseguiti dalla truppa. Da deposizioni verbali risulta che i briganti avrebbero avuto tre feriti, fra i quali uno gravemente. La forza non ebbe perdita di sorta. Lo stesso giornale reca: In Basilicata continuano gli arresti dei manutengoli su vasta scala. In due soli giorni in quella provincia soltanto se ne sarebbero carcerati 170.
Questa misura è quella che atterrisce più di tutto i briganti per cui se si continua di passo fra poco il brigantaggio sarà ridotto a minime proporzioni.
tratto da : IL SOLDATO ITALIANO Giornale Militare 17 Settembre 1863

lunedì 4 ottobre 2010

Etimologia della parola Cafone

La parola Cafone è usata nel dialetto rionerese per definire il contadino di una volta, oppure oggi è utilizzata per disprezzare una persona.
Ma da dove deriva questa parola?

”Cafone” è parola del dialetto campano, che per alcuni deriverebbe da “c’a fune”: con la fune. Intorno al 1400, tra il basso Lazio e la Campania (tra Frosinone a Caserta), i contadini si recavano alle fiere di paese portando in spalla delle funi, con cui si portavano a casa gli animali (vacche, pecore, ecc.) che compravano.

Secondo altri studiosi, la fune avrebbe avuto un altro scopo: arrivando a Napoli dalla campagna, la mattina presto, il contadino trovava le porte della città (Porta Capuana e Porta Nolana) ancora chiuse: la fune gli serviva per superarle, ed entrare in città. Una teoria sciocca, oltre che falsa: il contadino veniva in città per vendervi i suoi prodotti (frutta, verdura, ecc.). Ve lo immaginate a scavalcare la cinta muraria con tutta questa roba?

domenica 19 settembre 2010

Corografia dell’Italia 1834

RIONERO borgo del regno delle due sicilie prov. di Basilicata dist. Melfi capoluogo di cantone. Uno dei migliori luoghi di quella provincia per i comodi della vita. Vi sono alberghi, caffè, sorbetterie, pasticcerie, una chioesa collegiata due altre parrocchiali e circa 9.000 abitanti attivi ed industriosi, i quali, oltre all’esteso commercio ed agricoltura, esercitano in grande la pastorizia. Vi sono fabbriche di scatole di acero e di altri legni per tabacco che soffrono il paragone con quelle di Lecce. I dintorni producono cereali, e pregiati vini ed olii: i vicini colli di castagneti e di quercie per l’ingrasso dei maiali. Sta a 5 miglia ad ostro da Melfi e 19 a maestro da Potenza.

Corografia dell’Italia 1834

domenica 12 settembre 2010

I francesi vengono forzati a capitolare ad Atella da parte di Ferdinando II 1495 (Di Jean-Charles-Léonard Simonde Sismondi)

…L’ armata, che ogni giorno s indeboliva ,dovette all’ultimo ritirarsi. Essa tentò di rientrare nella Puglia dalla parte di Ariano e di Beneventoe portarsi alla volta di Venosa. Perchè Ferdinando non si accorgesse della loro ritirata, i francesi partirono in sul cominciare della notte e fecero venticinque miglia senza riposarsi. Speravano essi che Ferdinando, inseguendoli li avrebbe dovuto trattenersi alquanto sotto il castello di Gesualdo che in altri tempi aveva sostenuto un assedio di quattordici mesi e fidati in questa speranza espugnarono la città d’Atèlla in cui avevano incontrato resistenza e le diedero il sacco perlochè indugiarono più del dovere. Ferdinando occupò Gesualdo senza trarre colpo e raggiunse i francesi prima che fossero usciti da Atella, allora il Montpensiero si trovò costretto di appigliarsi al partito che più gli conveniva che è a dire di difendersi in Atella onde dar tempo al suo re di soccorrerlo. Atclla, dove stava chiusa l’ armata francese, non è già quella città che diede il suo nome alle favole Atellane, la quale era posta all' un di presso nel luogo oggidì occupato dalla città di Aversa. Atella della Basilicata di cui ora si parla, giace in una fertile pianura ma un miglio più oltre cominciano ad ergersi le montagne che sfgono da tre parti formando un ricco anfiteatro largo tre quarti di miglio. Il pendio di questi monti non è scosceso e ne pensili che forma, si fa uso dell’aratro per lavorare i campi e dove il terreno è più inclinato si coltivano viti ed alberi fruttiferi d’ogni maniera. Quest’anfiteatro è aperto dalla parte di mezzogiorno onde si vede a sinistra la città di Melfi e a destra la strada di Conza coperta da folti boschi. Un ruscello irriga la pianura soccorrendola al ponente estivo, dopo avere circondato con largo giro la borgata di Atella. Colà le acque trovandosi chiuse tra più alte rive volgono alcuni molini, poi si gettano nell’Ofanto. Dalla parte di levante la borgata di Ripa Candida posta sulla strada di Venosa era occupata da francesi e da quel lato l’esercito loro sperava di ricevere vittovaglie e soccorsi aggiunto che tutto il paese si era dichiarato pel partito angioino, ma la cavalleria leggera degli stradioti non tardò ad impratichirsi di tutti i sentieri e chiuse tutti i passi ai partigiani de francesi. Ferdinando non voleva venire a battaglia contro un armata disperata ed invece pensò a chiuderle tutte le strade a difficultare ogni mezzo di vittovagliarla e a distruggere i mulini di cui si serviva…. Dopo questa vittoria e la prima che Gonsalvo di Cordova riportasse nel regno di Napoli, questi venne con sei mila uomini ad unirsi sotto Atella al re Ferdinando e la sua venuta fece agli assediati pendere ogni speranza. Il Montpensiero che cominciava a difettare di vettovaglie, fece partire il 5 di luglio alla volta di Venosa, la terza parte della sua cavalleria onde scortare un convoglio, ma sebbene questa scorta uscisse a mezzodì che è a dire in tempo in cui doveva supporsi che i nemici per timore degli eccessivi calori della Basilicata si riposassero, ella fu scoperta dagli stradioti soprappresa e sconfitta. In questo fatto i francesi perdettero più di trecento cavalieri e più che la perdita gli affliggeva il pensiero che i loro uomini d’arme, erano stati debellati da una cavalleria leggiera da loro sprezzata. Dopo questa battaglia, Ferdinando conquistò Ripa Candida e si accampò sulla strada di Venosa, sicchè veniva a chiudere agli assediati qualunque uscita. Gonsalvo di Cordova lo stesso giorno in cui arrivò presso Atella, aveva espugnati e affatto distrutti i mulini degli assediati onde questi cominciavano a non avere più farine. In breve essi provarono un altra più acerba privazione più non potendo attignere acqua dal ruscello che bagnava le mura di Atella, senza azzuffarsi coi nemici e dovendo così pagare col loro sangue ogni botte di acqua. Avevano i francesi formato nel fiume un abbeveratoio difeso da alcuni trinceramenti, cui erano stati posti a guardia i loro svizzeri, ma questi essendo stati con grand’ impeto assaliti perdettero coi trinceramenti trecento uomini. Fu trovato tra i morti un alfiere cui era stata troncata la mano destra e gravemente ferita la sinistra e che morto com’era strigneva tuttavia coi denti lo stendardo che glì era stato affidato. Erano già trentadue giorni passati da che i francesi trovavansi chiusi in Atella, essi vedevano ogni giorno andar crescendo il numero de loro nemici e scemare quello de propri soldati, loro mancavano i foraggi i viveri e l'acqua, laonde all’ultimo risolsero di venire a patti. Il Preci Bartolommeo d’Alviano ed un capitano svizzero furono inviati a parlamentare con Ferdinando. Chiesero questi inviati che venisse conceduto a Giberto di Montpensiero di mandare un corriere al suo re per avere soccorsi a patto che se non li riceveva nello spazio di trenta giorni dovesse allo spirare del termine consegnare a Ferdinando tutte le città e terre che da lui dipendevano col le oro artiglierie.Fino a tal tempo il Montpensiero prometteva di non tentare d uscire da Atella ove il re gli somministrerebbe i viveri giorno per giorno. Quando poi i francesi rassegnerebbero la piazza, dovevano essi avere la libertà di tornare in Francia e gli italiani di andar fuori del regno ed i napolitani dovevano avere quindici giorni di tempo per sottomettersi al re il quale doveva conceder loro intero perdono e la restituzione di ogni loro avere. Questi patti piacquero anche a Ferdinando e vennero sottoscritti il giorno 20 di luglio del 1496 tuttavia le tre città di Venosa Gaeta e Taranto, i di cui governatori erano stati nominati dal re medesimo furono espressamente eccettuate da capitoli. Sembra che il Montpensiero non aspettasse i trenta giorni prefissigli nella convenzione per cedere Atella, ma che stretto da bisogno di danaro e dalla impazienza de suoi soldati consegnasse dopo tre dì quella piazza a Ferdinando per dieci mila fiorini cui distribuì alle sue truppe a conto del loro soldo. Usci il capitano francese da Atella con circa cinque mila uomini che furono condotti a Baja ed a Pozzuoli per aspettarvi l’imbarco…

lunedì 6 settembre 2010

Sentenza definitiva Corte Suprema di Giustizia di Napoli ( 1833 ) sul ricorso dei Sigg. Catenacci e delle Sante sulla donazione del sig. Tartarisco

1. DONAZIONE CAPPELLA LEGGE CONTRÀ L’ AMMORTIZZAZIONE 2 .NOMINA DEL SACERDOTE PER LA CELEBBAZ1ONE DI MESSE DIRITTO PASSIVO EI PROPRIA PERSONA 3. DIVISIONE DI BENI

1. È valida ed efficace la donazione dei beni alla cappella costruita in una chiesa fatta per di lei dote e fondo prima della legge del 1769 contra l’ ammortizzazione 2. La disposizione aggiuntavi dal donante che il dippiù della rendita dei beni donati si addica in perpetuo a celebrazione di messe preferendo i sacerdoti della sua discendenza, costituisce a favore di costoro un diritto passivo ex propria persona. 3 Ed esistendo il sacerdote che ha questo diritto non possono dividersi i beni donati. (S.C.N. 18 luglio 1833 Catenacci e delle Sante Pres. Cav. de Blasio – Rel. Brundesini - PM cav. Letizia - Avv. D. Agostino Santamaria de’ ricorr e D Giovanni de Simone de resist.- RIGETTO)

La C.S .di giustizia

l Sulla prima quistione. Attesoché D. Francesco Tartarisco coll’atto autentico de 22 ottobre 1699 donò irrevocabilmente tra vivi alla cappella da esso prima costruita nella chiesa matrice di Rionero alcuni beni immobili per dote e fondo della medesima. Dispose nell’istesso tempo che dalla rendita di quei beni si prelevassero annui ducali 4 per l'acquisto e manutenzione de sacri arredi. Solo il dippiù gravò del peso perpetuo di messe a grana 15 l’ una in suffragio dell’ anima sua e de suoi antenati e posteri. Attesochè perciò tal disposizione contiene due parti distinte che non possono confondersi, cioè la prima, un assoluta donazione di beni alla cappella e la seconda l’ uso da farsi della loro rendita. Attesochè la donazione trovandosi stipulata nel 1699 è anteriore alla legge pubblicata nel 1769 contra l’ammortizzazione. Quindi è valida ed incontrastabile poiché prima di questa seconda epoca l acquisto de beni a favore della chiesa non era vietato.

2 Sulla seconda. Attesoché il donante impose sul dippiù della rendila dei beni donati il successivo peso perpetuo di messe che certamente dovevano celebrarsi da sacerdoti che sono i soli cercati a quel Divino sacrifìzio giusta i sacri canoni. Ma esso volle nominare e prescegliere in preferenza quelli che, discendevano dalla sua persona per linea aguatizia, o, in difetto di questa per quella di cognazione. Nel solo caso, che non esistesse dopo la sua morte verun sacerdote né dell’ una né dell’altra linea, dispose che il suo con congiunto più prossimo in grado scegliesse altro prete fino a che non pervenisse al sacerdozio qualcuno di una delle sue linee e che in mancanza di tutto l’ elezione dovea farsi dal Sindaco prò tempore. Attesoché da ciò risulta evidentemente che il donante prescelse i sacerdoti della sua discendenza. Con esso conferì loro un diritto passivo ex propria persona per la celebrazione delle messe.

3 Sulla terza. Attesoché il sacerdote de Santi discende dalla persona del donante per la linea cognati zia, per cui in difetto della linea maschile è preferito ad ogni altro sacerdote. In conseguenza i beni donati non possono dividersi in pregiudizio del diritto passivò di cui è esso investito ex propria persona per la celebrazione delle messe. Quindi bene la GC civ colle impugnate decisioni ha esclusa la divisione di quei beni. Attesoché la legge applicabile a questo caso particolare è il Real rescritto de 4 agosto 1798 poiché coll. art 2 del medesimo rispettandosi la volonta’ de fondatóri ed il diritto che i sacerdoti da essi prescelti direttamente avevano acquistato ex propria persona si stabilì la regola che ove il legato pio. o cappellania laicale sia dell’ epoca anteriore alla legge del 1769 contraria all’ ammortizzazione, i beni non potevano distraersi né dividersi ma dovea il cappellano ritenerli col peso delle messe e delle altre opere prescritte. Attesoché nella specie i beni come si è gia’ osservato trovansi donati legittimamente alla cappella per sua dote e pel solo dippiù della rendita è addeito il peso perpetuo delle messe che il sacerdote de Santis ha ex propria persona il diritto di celebrare. Quindi è fuori del caso il discendere ora all’ esame se i decreti pubblicati in tempo dell’ occupazione militare su i padronati ai quali i ricorrenti signori Catenacci si attengono siano stati o no aboliti col posteriore decreto de 20 luglio 1818. Per questi motivi la CS rigetta il ricorso. Luglio 1833.

giovedì 2 settembre 2010

Lago PESOLE

Rimessi in istrada, prima di ascendere il Carmine, ne deviammo per circa un miglio ad oriente onde osservare il curioso laghetto che fu detto di Pesole, dagl isolotti galleggianti che a riprese si ravvicinavano e si allontanavano dalle sue sponde. Questo fenomeno che avrà potuto benissimo aver luogo allorché il lago conservava notabile profondità, è cessato per l' impaludamento avvenutovi dopo che ne sono stati recisi i boschi e dissodate le terre dei colli che li fanno corona . Di presente ridotto il suo maggior diametro a circa un terzo di miglio ed il minore a meno di 300 passi, non è che una pozzanghera ingombra da pertutto di piante palustri, ed appena in mezzo di essa rilevano alcune limpide vene che quei terrazzani chiamano le luci, e che sono le perenni polle che sgorgano in quei punti e che riunite in perenne rigagnolo, aprendosi il varco tra i prossimi burroni ,vanno a dare origine al Bradano. I pescatori spingono qualche sdrucito sandalo tra quei canali e vi pescano anguille ciprini e tinche che vanno a vendere in Avigliano. La ninfea bianca e qualche potamo geto allignano nelle più profonde acque del lago, mentre ne fossi paludosi crescono le carici le iridi ed altre comuni piante di tai luoghi
Tratto da: Accademia delle scienze Napoli 1843

sabato 31 luglio 2010

Rionero anno 1316

Rionero anno 1316


Vescovi Rapollani distintisi nel tempo



1316 Bernardo de Palma. Già canonico di Ascoli fu uno degli esecutori del testamento di Carlo II d’ Angiò. Egli era era intimo pure del re Roberto. In un diploma con cui fu concessa l’ esenzione dai pesi fiscali per un decennio a tutti che si fossero trasferiti a popolare Rionero paesello allora presso alla chiesa di S’ Antonio ( chiesa che un tempo si apparteneva ai benedettini di Monticchio) egli viene delle espressioni lusinghieri di dilectum consiliarium et famliarem nostrum . Vi è ragion da credere che ad influenza di questo prelato Rapolla forniva al re Roberto otto soldati a cavallo ben montati quanti ne davano Ascoli e le altre popolose città di Puglia ad oggetto di arginare Lodovico di Baviera che innoltravasi avverso al pontefice Giovanni XXII


ricerca personale

sabato 17 luglio 2010

Serro San Francesco Rionero

Sul colle detto Serro di s Francesco all' oriente di Rionero ed a piccola distauza da quel comune, si osservano gli avanzi di auliche fabbriche e non scarsi rottami. Quivi si sono scoperti idoli, medaglie di oro e di argento ed altre anticaglie d' importanza, senza che si conosca a quale antica città possano riferirsi . Si veggono ancora sulla loggia del monastero de Cappuccini messo sulla sommità del Vulture alcuni antichi bassorilievi, una testa di serpente di bronzo ed un marmo con mutila iscrizione latina ma s' ignora come e donde siano stati colà trasportali

Deutsches Archäologisches institut - 1832

sabato 10 luglio 2010

San Ippolito Monticchio

A questa Abbadia di greca osservanza e di rito, era annesso un monastero di donne sotto la giurisdizione di quell Abate Benedettino, giusta le riflessioni del dotto archeologo Monsignor Ferroni Vescovo di Muro. Cencio Camerario lo chiama monastero di S Giovanni Vulturanese, e nei tempi di mezzo si nomò pure di S. Angelo o di S Michele in Vullu, ed anche di Monte di Voto, dal Vulture. Infatti, questa montagna in quei tempi, fu denominata Mons acutus come pure Mons sacer (Di Meo ann. 1153 n 4 ) ed oggi nel linguaggio vernacolo di molti paesi circonvicini si dice Montavuto, espressione corrotta di Monte Vulture, alle di cui radici occidentali era edificato esso un monastero il quale rovinato dopo il 1037 dette origine al cennato Convento de Cappuccini che n’ era l’ ospizio, eretto sotto il titolo di S. Michele. A questo Arcangelo è pure dedicata la chiesa che occupa la parte superiore del fabbricato la quale ha il pregio di essere stata consacrata e cumulata d’ indulgenze (come assicura Costantino Gatta) nei primi giorni di Maggio del 1059 dal Pontefice Niccola II, accompagnato da cinque Cardinali, sette Arcivescovi e quindici Vescovi, dopo sciolto il Concilio di Melfi. Di presente s’ intitola S. Michele Monticchio da Monticulus antico paesetto che oggi non più esiste.

Documento anno 1800 ca

venerdì 2 luglio 2010

Quando i Savoia fermarono Cristo ad Eboli…

Può sembrare strano ma a quanto pare è proprio così. I Savoia fermarono Cristo ad Eboli e non lo fecero avanzare più, o meglio lo fecero addentrare nella nostra Lucania piano piano, facendolo attraversare e scalare monti valli e quant’altro, in modo da far passare la voglia a chi da Napoli vuole raggiungere la Basilicata, per lavoro o per turismo.
Parlo della linea ferroviaria che da Napoli porta a Taranto. Linea ferroviaria angusta dove i treni da Eboli in direzione Potenza Taranto viaggiano a passo di lumaca..
Bèh…quella linea ferroviaria il Regno Borbonico la concepì in modo diverso e moderno, addirittura il tracciato prevedeva il doppio binario.

Il Decreto N° 3492 del 30 Settembre 1856,
Decreto col quale si concedeva al Signor Tommaso d'Agiout la facoltà di costruire una ferrovia da Salerno per Eboli a Taranto.

La ferrovia iniziava da Salerno e doveva passare necessariamente per i comuni, o per le rispettive loro vicinanze, di Eboli, Calabritto, S. Andrea , Rionero, Rendine, Spinazzola, Gravina ed Altamura.
La ferrovia nell' intero suo percorso doveva essere a doppio binario.
Secondo le stime, e il capitolato di appalto, la tratta da Salerno ad Eboli doveva entrare in funzione entro il 31 Dicembre del 1857, e la tratta da Eboli a Taranto entro il 01 Gennaio 1861.
Inoltre, la strada ferrata doveva essere interamente fiancheggiata da fossi, muri, siepi, o da altre chiusure atte ad impedirne l’ accesso , secondo i modi usati nelle ferrovie esistenti nel Regno Borbonico.
Particolare attenzione doveva essere fatta nel caso in cui la strada ferrata incontrava chiese ed edifici sacri, monumenti di arte e di antichità, queste non potevano essere occupate o danneggiate in qualunque modo.
La ferrovia fu costruita fino a Eboli, poi arrivarono i Savoia e a Cristo fu impedito di proseguire in Basilicata!

domenica 27 giugno 2010

San Donato di Ripacandida ( 1591 )

Ora essendo il predett’ uomo dì Dio nel fiore della gioventù d'anni 19, piacque al Redentore di dargli l’eterno premio meritato dalle fatiche perché afflitto da grave infermità,doppo aver mostrato una grandissima pazienza e disio di volar al Cielo al fil anima sciolta dal peso terreno ando a viver con Cristo non senza molte lagrime di tutti i Monaci e degli abitatori di quel paese. Ma il Padre, come quello che l’ amava teneramente, andatosène dal Priore ottenne in grazia di portar il corpo del figliuolo a Ripacandida, essendo posto nel cataletto, lo portavano con molta lagrime di ciascuno che lo conosceva al quale tutto il popolo della Petina, e piangendo dicevano: O Donato come ci lasci così sconsolati ed afflitti senza lasciarci un segno della tua amorevolezza. Alle quali parole (o gran bontà di Dio) alzò il braccio destro dal cataletto e lo lascìo dal gombito cader interra il quale fu ricolto con grandissima venerazione e quivi conservato molto tempo. Il rimanente del corpo fu portato a Ripacandida fu quivi sepolto. Il braccio predetto oggi si trova intero con la carne nell’ Auletta terra convicina alle predette nel Convento di San Francesco, ove stanno Frati Conventuali. Un’ unghia, che manca a un dito del detto braccio, in Sicignano. Il corpo oggi si crede che sìa nel Duomo d’ Acervo, altri dicono in Ripacandida, ove celebrano la sua festività il 17 d’ Agosto: altri dicono in Melfi. Alcuni credono che la testa a sìa nella città di Nusco: e questo e quanto di San Donato Monaco di Montevergine s’ha per continuata memoria.

Istoria dell'origine del sagratissimo luogo di Montevergine - 1591
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giovedì 24 giugno 2010

Lettere ai briganti

Lettere trovate su due cadaveri di briganti

…Fu trovato sovr uno dei cadaveri a Lagopesole una lettera indirizzata a sua Eccellenza Don Carmine Crocco da uno nominato Caputo Luigi di Rionero con queste parole:
Voi dovete accordarmi di congiungermi alla vostra santa bandiera del nostro padre Francesco II per la gràzia di Dio di vostra Eccellenza e delle vostre truppe…

…. Questa è di una donna di Ripacandida a suo marito

Carissimo marito. Io mi son rallegrata che voi vi troviate bene in salute e che Dio vi abbia liberato da ogni disgrazia.. Io prego a tutti i momenti Dio di liberarti ma intanto si dice pubblicamente a Ripacandida, che voi siete stato coraggioso per la patria e che il Signore vi accompagnò sino alla fine di riportare la vostra vittoria. D’ una sola cosa io mi sento molto dispiacere,, perchè tutti i Ripacandidesi hanno riportate delle ricchezze alle loro famiglie: io piangendo e lacrimando dicevo:perchè il marito mio non si ricorda di me? Povera donna, io non ho mai fortuna. E dicevo fra me stessa: mio marito aveva un cuore largo, perchè mostra adesso un cuore di macigno? Io vi prego al più presto di levarmi la mia miseria .Vi salutano carissimamente i miei fratelli, e dicono che vonno un ricordo: regalate un fucile a ognuno acciocchè si ricordino del vostro buon cuore e il fucile che avete mandato io non l ho ricevuto. Vi abbraccio caramente.

Scritta da me Michele Guglielmucci e a me pure mandatemi qualche piccolo fucile.

Vostra affezionatissima moglie

Teresa Sairua

o

Teresa Sairna

Il cognome non è leggibile


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domenica 20 giugno 2010

LA BATTAGLIA DI CANNE E IL MONTE VULTURE

La battaglia di Canne fu la più grande battaglia della II guerra punica combattuta tra Romani e Cartagine il 2 Agosto del 216 a.c. .
Anche il Monte Vulture ebbe un ruolo importante in quella battaglia, o meglio, il vento che quel giorno soffiò da esso fu determinante nella sconfitta dei romani da parte di Annibale.Ecco cosa dicono le cronache di allora e che testimoniano di quel vento impetuso;

Tito Livio in Ab urbe condita:

XXII,43] Prope eum vicum [Cannas] Hannibal castra posuerat aversa a Volturno vento, qui campis torridis siccitate nubes pulveris vehit. Id cum ipsis castris percommodum fuit, tum salutare praecipue futurum erat cum aciem dirigerent, ipsi aversi terga tantum adflante vento in occaecatum pulvere offuso hostem pugnaturi.


Presso questo borgo aveva Annibale posto il campo, con le spalle al vento Volturno che in quelle campagne arse dalla siccità porta nubi di polvere. E tale disposizione, buona per gli alloggiamenti, doveva essere sommamente propizia quando si sarebbero schierati a battaglia, giacché così, soffiando il vento soltanto da tergo, avrebbero combattuto rivolti alla parte opposta contro il nemico accecato dalla polvere.


[XXII,46] Sol seu de industria ita locatis seu quod forte ita stetere peropportune utrique parti obliquus erat Romanis in meridiem, Poenis in septentrionem versis; ventus -Volturnum regionis incolae vocant - adversus Romanis coortus multo pulvere in ipsa ora volvendo prospectum ademit.


Il sole, o perché si fossero così disposti di deliberato proposito o fosse caso, batteva l’una e l'altra parte, molto opportunamente, di fianco, essendo i Romani vòlti a mezzogiorno, i Pùnici verso settentrione. Il vento (gli abitanti del luogo lo chiamano Volturno), soffiando in faccia ai Romani, toglieva a essi la vista spingendo loro gran polvere in pieno viso.


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martedì 15 giugno 2010

Acqua Santa a Monticchio (inedito 1839 )

..Al di là del piano della spina i boschi di Monticchio si congiungono a tramontana con quelli del fosso di Faraone al quale puossi benanco discendere dal pizzuto di Melfi, come il dicemmo disopra. Quindi battendo il sentiero del bosco e della piana della Melaina si va all’ acqua Santa. Il cammino è di circa 2 miglia, ed è tutto rivestito di boschi di cerri e di quercia di bellezza non comune. Piano ed agevole n’ è il calle e di tratto in tratto spazioso ed ameno ne addiventa per le praterie che vi si frappongono e che si propagano fin al luogo detto dell’ acqua rossa, pè rigagnoli imbrattati di ossido di ferro di cui tutta quella contrada abbonda; e le pietre che se ne veggono scoverte son tutte argillose ferrifere, provenienti dalla totale decomposizione delle antichissime rocce vulcaniche di cui quella parte della regione vulturina risulta, e che compagna la dichiarano de più rimoti vulcani de' campi Flegrei e della Campania.

Giudicar volendone dalle notizie che se ne leggono scritte nella lettera dell’ Abate Tata, e da ciò che ne riferiscono quei terrazzani, altra volta, l’acqua Santa esser dovette una termale idro-solfurea di cui facesi gran caso per la guarigione delle malattie cutanee. Quando l'abbiamo osservata noi non ci abbiamo riconosciuto altro che un acidola ferruginosa fresca simile affatto all’acqua del vallone dell’Arena presso Rionero. Essa scaturisce da una grotticella scavata in un masso di lava decomposta friabile. Sgorgano intorno ad essa altri rigagnoli di acqua affatto potabile; nessuno de’ quali presenta ombra di qualità termale o idro-sulfurea. Tutti quei sassi sono rivestiti della solita ocra ferruginosa, che più copiosa diventa prolungandosi il cammino verso l’ acqua rossa ed il varco della creta, che sempre più a tramontana spingendosi riesce sul ponte della pietra dell’ olio sull’ Ofanto. Presso l’ acqua santa, a testimonio delle antiche sue medicinali qualità trovasi per terra una mezza lapide di cui credemmo dover trascrivere le parole per involarle dalla oblivione che al facile deperimento di quel resto di sasso sovrasta. Comunque manchi di millesimo, tuttavia per la forma delle lettere e per la ruvidezza del dettato potrebbesi far risalire a più secoli di antichità:

A pie del marmo ve l’ acqua vicina

CocHE del male mi sano S’ CARlo

Co opra muta che loquace parla

Lavacro se mi fu mi fu pescina

Quei sentieri sono tuttora frequentati dai viandanti di Monteverde, Andretta, Calitri ed altri de’ paesi messi sull’ opposta sponda dell Ofanto che varcandolo al ponte dell’ Olio recansi a Rionero ad Atella e negli altri luoghi posti al di qua del fiume.

Da: Atti della Reale Accademia delle Scienze. Sezione Società Reale Borbonica Stampato 1845. Scritto nel 1835

sabato 12 giugno 2010

Tracce del Barone Rotondo




















N° 2515 ) Decreto col quale si concede il titolo di Barone al cav. D. Nicola Rotondo del comune di Rionero

Napoli, 10 Settembre 1855

FERDINANDO II per la grazia di dio re del regno delle DUE SICILIE, DI GERUSALEMME ECC, DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO ec. ec. Gran principe ereditario di Toscana ec. ec. ec.

Volendo benignamente accogliere le suppliche umiliate al nostro real Trono dal cav. D. Nicola Rotondo di Rionero in Basilicata e dargli un contrassegno della nostra sovrana benevolenza, tanto pel costante attaccamento serbatoci, che per le varie opere da lui fatte in sollievo degli infelici nelle diverse occorrenze di pubblica calamità; Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato Presidente del Consiglio de’ Ministri:
Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato;
Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue.
Art. 1. Concediamo al cav. D. Nicola Rotondo di Rionero in Basilicata il titolo di Barone, trasmessibile in perpetuo e con ordine di primogenitura a’ discendenti legittimi e naturali di lui e nella linea collaterale fino al quarto grado secondo le leggi del Regno.
2. Questo titolo, nel caso che il cennato cavaliere trapassasse senza discendenti, sarà trasmessibile nello stesso modo, e con le stesse indicate regole di successione al di lui germano D. Eustachio Rotondo, tenente colonnello, presidente del primo Consiglio di guerra e governatore del reale Albergo de’ poveri.
3 Il nostro Ministro Segretario di Stato Presidente del Consiglio de Ministri è incaricato della esecuzione del presente decreto.
Firmato, FERDINANDO
Il Ministro Segretario di Stato
Presidente del Consiglio de Ministri
Firmato, Ferdinando Troja


Tratto da : COLLEZIONE DELLE LEGGI E DE’ DECRETI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
Anno 1855 semestre II da Luglio a Tutto Dicembre

ps La famiglia del Barone Rotondo si trasferì a Mola e a Spinazzola

giovedì 10 giugno 2010

RIONERO 1843

Messo a cavaliere su di amenissimo colle la situazione di Rionero non poteva essere più propizia all’educazione del virgulto di Bacco Vi concorre la qualità vulcanica delle sue terre acconciamente temperata dagli elementi calcari di cui tutti i monti che circondano il fuori del paese dal levante a mezzodì nella esposizione tra Rionero Barile e Ripacandida lì vi sono piantate e condotte come in ben ordinati giardini i vitigni, son tenuti bassi a 4 palmi di distanza fra loro nella potatura vi si lascia un solo tralcio o tutto al secondo con due soli occhi, i pampini si fanno appoggiare a tre canne messe a piramide, si lavora la terra tre e volte l’anno Le vigne di Rionero si danno la mano con quelle di Barile Rapolla e Melfi ma in due ultimi luoghi fra le viti son piantati ulivi e alberi fruttiferi Dalla parte che guarda Rionero ed Atella il Vulture è stato spogliato de suoi boschi e le coltivazioni di cereali vi sono state spinte fin quasi al comignolo. Vi rimane il pizzuto di San Michele la lunga cresta che si distende fino al pizzuto di Melfi dove i boschi esistono in tutta la loro forza. La parte denudata appartiene al demanio di Atella che vi possiede ancora altri boschi e terre considerevoli. Nulla ne possiede Rionero che surto di recente come il dicemmo non ha fondi demaniali di sorta alcuna e prende da Atella tutte le terre che ora ne coltiva In tal deficienza tanta è l’ industria di quel popolo instancabile e tanto il commercio colle limitrofe contrade che la prosperità di Rionero progredisce con rapido corso i suoi fabbricati se ne aumentano tutto giorno La su popolazione conta già 10 mila abitanti e l’agiatezza vi è distribuita tra tutte le classi di essi A farne un capoluogo di distretto se non di Provincia sono l’amenità del sito la salubrità dell’ aria le vettovaglie la vicinanza del Vulture che lo provvede di legname di cacciagioni e di pesce la prossimità della Puglia che gli apre i porti dell Adriatico La stagione è fresca e deliziosa e noi che ve ne passammo i più caldi giorni non vi avvertimmo mai più di 21 gradi di Reaumur. Da ultimo gioverà aggiungere a queste prerogative l’essere stata immune dal flagello asiatico mentre infieriva nella prossima Puglia ed in molti luoghi della stessa Basilicata e di questo insigne privilegio godeva Rionero senza avere punto intermesso i suoi commerci e senza dar luogo a misure sanitarie…


Tratto da: ATTI DELLA REALE ACCADEMIA SELLE SCIENZE SEZIONE DELLA SOCIETÀ REALE BORBONICA VOLUME V Parte

NAPOLI NELLA STAMPERIA REALE 1843

giovedì 3 giugno 2010

U' Vucal ( il Boccale )

Caratteristico contenitore in argilla cotta, provvisto di due o di una sola ansa. Smaltato internamente e decorato esternamente con motivi richiamanti frequentemente l'uva. La causa di questo richiamo tanto ripetuto sul boccale, deriva appunto dalla sua funzione principale che è quello di contenere il vino. Anche quest'oggetto è stato di uso frequente nel mondo contadino.
Mentre nella campagne per trasportare e per bere il vino, veniva utilizzato, il classico fiasco in legno di rovere o di castagno, nelle case, invece, mentre il posto del cicino per l'acqua era sotto il tavolo, sopra lo stesso, all'ora del desinare, al centro dell'attenzione di tutti faceva bella figura il boccale ricolmo di vino. Le sue dimensioni, determinavano, da un lato il numero dei commensali, dall'altro la ricchezza della famiglia

domenica 23 maggio 2010

La Maronn' r' La Vrarj'


La Madonna della Laudata

A pochi chilometri da Rionero, sulla strada che porta alla stazione di Forenza, si trova la Cappella della Madonna della Laudata, in dialetto rionerese “La Maronn’ r’ la Vrarj”.

Come ogni anno, negli ultimi giorni di Maggio, la Madonna viene venerata, viene celebrata la Santa Messa e, all'esterno della chiesetta si vendono le noccioline.

Una volta, in quei giorni, da Rionero partiva il pellegrinaggio verso la Chiesetta. Si formava una lunga fila di pellegrini che a piedi, attraversando le zone di Funtana Matroppl’, U’ Lag’ ru ‘ Pisc’, costeggiando anche la Pret’ ru’ u Pisc’, arrivava al piccolo Santuario per venerare la Madonnina.

Ma prima di entrare, era( ed è) consuetudine fare tre giri intorno la Chiesetta in senso antiorario e far suonare ad ogni passaggio la piccola campanella posta sull’ingresso della Cappella.

Dopodiché si può entrare nella chiesetta e pregare, pochi per volta in quanto la chiesetta è molto piccola.

Molta gente portava con se anche una piccola colazione da gustare ( dopo aver pregato ) all’ombra del Grande Albero della Madonna…Albero misterioso che, a quanto pare e secondo alcune leggende, non vuole che nessuno salga su di esso per potarlo.

Altrettanto misteriosi sono i “capelli” della Madonna, ( fili di erba di colore bianco) che crescono solo nel periodo di venerazione della Vergine sopra la collinetta antistante la Cappella. Infatti, i pellegrini al loro ritorno, si fermano a raccogliere i “capelli” per portarli nelle loro case in segno di buon auspicio.

venerdì 14 maggio 2010

R’ pan e u’ Forn’




Fino a qualche tempo fa, parlo anche fine anni ‘80’, erano molti i rioneresi che usavano ancora fare il pane in casa, o meglio, impastare il pane in casa e poi portarlo al forno per la cottura.
Uno dei forni famosi a Rionero era il forno di Sabella in via Luigi Cadorna (vicino la stazione ferroviaria)

Il procedimento era un po’ lungo e laborioso.

La rionerese iniziava dalla sera prima il procedimento per impastare il pane.

‘Ndò ù ‘mbastapan cerniv’ la farina, faceva un mucchietto alto, poi con le mani lo allargava e ci metteva i 'catapan’ cotti e tritati miscelati con acqua calda.

poi vi aggiungeva ù cr’scent’ (lievito) e iniziava ad impastare. Impastava con le mani..anzi con i pugni…in casa si sentiva quel cick, ciock che i pugni procuravano al contatto con la pasta.

Dopo l’impasto, copriva la pasta con coperte in modo da tenerla calda durante la lievitazione.

La mattina dopo di buon ora, dopo la lievitazione, si sc’canava...si tagliava la pasta e si preparavano le panelle, e la pasta per fare i 'cucoli' oppure i 'cucculecchj frett’. Da parte si cuocevano i pomodori per condire i 'cucoli.

Su ogni panella si faceva un croce con il coltello e si metteva il segno per riconoscere il pane dopo la cottura. I segni erano: una noce o le iniziali del nome

Fatto questo e ricoperti per bene le panelle si partiva per il forno..Ricordo che dal rione San Francesco, le donne caricavano il tutto su un cariola.

Arrivate al forno, mettevano le panelle sulle tavole e nell’attesa che arrivasse la fornaia, (la quale già di buon mattino aveva acceso il forno) si stendeva la pasta per i cucoli.

Poi un attimo di pausa in attesa che la signora furnara arrivasse per ' imburnare' prima i 'cucoli e poi le panelle.

domenica 2 maggio 2010

I Ciao 'Nè.

Chi erano e chi sono i Ciao 'Nè???...
Parliamo di chi erano: (oggi le cose sono un pò cambiate)
I Ciao 'Nè erano gli emigranti e figli di emigranti, rioneresi, che durante le ferie di Agosto ritornavano per un mese nella loro città Natale.
Infatti, come un miracolo, nei primi giorni di Agosto nelle strade e nei vicoli di Rionero si potevano notare delle nuove auto targate nella maggior parte Va, Mi, To... ogni tanto qualche targa Ts o Fi.
Molte erano le auto con lo stemma posteriore ovale con le sigle F, D o CH. Macchine nuove, lucide, pulite e ben messe, tipiche erano le auto con i cuscini foderati sui sedili o, pupazetti o cagnolini che muoveano le testoline ad ogni movimento. Magari erano anche auto di ultima generazione appena uscite dalla catena di montaggio di Mirafiori. Insomma, il nostro concittadino emigrante tornava al paese d' origine per trascorrere almeno un mese con genitori, amici e parenti. Dopo alcuni giorni dal loro arrivo, iniziava la piccola processione per andare a trovare i parenti, sempre nel primo pomeriggio e con la calura estiva. Accompagnati da un gentore, dalle mogli e dai figli, questi ultimi sempre con l'aria scocciata.
Portavano con loro ondate di novità...raccontavano delle città in cui vivevano, dei servizi che esse offrivano, dei grandi supermercati, dei grandi negozi di abbigliamento ( mostravano sempre l'ultimo acquisto fatto in quei negozi), dei tram, della metropolitana, del traffico, delle scuole, delle università...mah... e noi con la bocca aperta ascoltavamo tutto questo. Colpiva molto il loro linguaggio, parlavano un italiano dialettizzato, (o dialetto italianizzato) ad esempio:
Siamo andati al negozio e abbiamo Accattato un vestito; oppure: quando costano qua le Pumbrore? e i Catapani? ( vero Zio 'Chilino?).

Parlavano molto delle fabbriche, della grande Fabbrica Fiat. Ma non entravano mai nel dettaglio del loro lavoro, alla domanda: ma tu... che faj 'ndò la fabbrc' ? La risposta era molto evasiva. Di rado raccontavano della catena di montaggio e dei turni di lavoro.
Forse ( almeno credo ) sotto sotto pensavano: stacit' meglj vui qua...

Ma tutto sommato, il loro arrivo era una grande festa ma con la fine di Agosto come d'incanto, quelle auto e quei figli di Rionero svanivano nel nulla. Ritornavano nella grandi città, nelle grandi fabbriche, però portavano sempre con loro un pacco preparato dai loro genitori con dentro, fagioli, peperoni secchi, formaggio pecorino, salsiccia, origano, aglio, cipolle, salsa, vino, uova...e anche un bidone di olio di oliva.
Tutto questo i grandi supermercati non potevano offrirlo...non potevano offrire i SAPORI RIONERESI.

lunedì 26 aprile 2010

Le fontane pubbliche di Rionero

Fontanino di Barile,ottima acqua, utile per depurare l'organismo
Fontana Grande ( Funtana Grann')
Fontana dei Morti ( Funtan' ri' i Murt', con l'acqua di quest fontana consiglio di preparare il caffè...una vera prelibatezza, provate!!! )
Fontanino alla Stazione;
Fontanino al Potasso;

Fontane rurali

Fontannelle;
Fontana Matroppl;
Fontana Maruggia
Fontana 61;
Fontana alla Torre;
Fontana di Angel' r' Vit';
Fontana dei Lupi;
Fontana Castagno;
Fontana dei Piloni;
Acqua Rossa ( Monticchio Sgarroni);
Funtana Cerasa;
Fontana dei Faggi

mercoledì 14 aprile 2010

Impressioni 2

Impressioni 2

In Autunno,invece, i vicoletti di Rionero offrono altre caratteristiche.

Tra fine Agosto inizio Settembre in alcuni vicoletti si può notare gente che prepara " la salsa o i pomodori pelati"

Una volta, davanti ad ogni garage o cantina si poteva vedere il tipico fuoco, fatto con "i scarmuzz’ e zepper’" (difatti nelle stradine si diramava un fumo come una nebbiolina) con la "cavrara" sopra "u trappir’ " in cui ribollivano i pomodori per poi macinarli con la “macchinetta” fino ad ottenere la tipica passata di pomodoro che, poi, si versava negli appositi "Buccacci" in vetro o bottiglie che in seguito venivano messi in un "Bidone" (sempre sop’ a u’ trappir’) a bollire per circa un'ora e mezza. Oggi la tecnica non è cambiata ma molti, anzicchè usare il fuoco con scarmuzz’ e zepper’ , usano il treppiede a gas.

In Ottobre le cantine scavate nel tufo ( Rione dei Morti, La Costa ), emanano un profumo davvero unico, ossia del mosto in fermentazione. L’uva, il nostro Aglianico del Vulture, ‘ndò i palmint’, si sta trasformando in vino. Non solo profumo ma anche (per chi ha deciso di "s’ baddare" un po’ prima) il rumore del torchio, quel tlic-tlac, tlic-tlac che rimbomba nelle cantine e a sua volta nelle stradine.

In Novembre invece, dai frantoi esce il profumo dell’olio, olio rionerese ricavato dalle spremiture delle olive r’ u’ Uaddon’ r’ la Noc’ o r’ Catavatt’, r’ la M’zzan’ o r r’ Cerz’, r’ Sant’ Maria o r’ Frascoll’. ..Un profumo che sembra preparare l'Inverno e a sua volta il Natale.

martedì 13 aprile 2010

Impressioni...

Impressioni

La Domenica mattina Rionero offre di sé (a mio avviso) una caratteristica peculiarità.
Di buon mattino, prima che la macchina del traffico si metta in moto, passeggiare per le strade e vicoli di Rionero è davvero bello, soprattutto se il sole ci fa compagnia.
Vi è un silenzio surreale, rotto solo dal cinguettio degli uccelli e delle rondini.
Proviamo a passare per Via Garibaldi; bèh... che c’è di così buono e dolce di quel profumo di caffè e/o di pasticcini appena sfornati che esce dalla pasticceria del Cav. Libutti?
Un profumo che si dirama per tutta la via fin giù al portone principale del palazzo di Don Giustino Fortunato. Non si può fare a meno di entrare in quella pasticceria ed assaporare i dolci appena sfornati.
Oppure, se si passeggia per i vicoletti, soprattutto i vicoli del Rione dei Morti, magari accompagnati anche con il rintocco del campanile della Chiesa dei Morti (SS Sacramento), una cosa attira molto. Da quasi tutte la case esce quel profumo, un sapore di sugo Domenicale, fatto con un buon coniglio nostrano con aggiunta di basilico profumato. Pare che tutte le casalinghe del rione preparino contemporaneamente il pranzo della Domenica.
Non solo, ma se si fa caso, passando davanti alle porte di queste case, si può notare ancora qualche signora che prepara le orecchiette sop’ a u Tumpagn’.
Tutto questo soprattutto tra fine Primavera e piena Estate, quando la calura estiva porta a spalancare le porte delle case...
Continua

lunedì 5 aprile 2010

Rionero

Rionero fu un tempo piccol villaggio non più che da quattro o cinque famiglie abitato in tenimento di Atella non già di quella onde furon le favole Atellane appellate, per questo stavasi nella Campagna felice su le antiche rovine di quella diocesi la nobile città di Aversa edificata; ma quella che oggi vedesi appiè del Vulture nella nostra Lucania in maggior parte da terremoti protesa, famosa per quel celebre fatto di armi tra Francesi e Spagnoli presso alle mura di esso avvennuta, qual battagliua con tanta purità di sermone mons. Paolo Giovio nella sua Latina Istoria eloquemente descrive. E' fama che i primi pochissimi nostri maggiori allettati dalla facilità di coltivare i campi detti del Gaudo, li quali in ampia ed aprica pianura distendonsi, abbondevoli a voti degli agricoltori si rendono, distaccati si fossero del grosso di quegli Albanesi che diloggiati di Melfi ove fu lor prima concesso il fermarsi a fabbricar Barile si fecero. Ma a poco a poco per la fertilità del terreno e per la solubrità dell'aree e per la copia e dolcezza delle fonti e per l'opportunità del traffico e se gli occhi all'animo di molte straniere persone tragendo si è reso più bello di tutta la Diocesi Rapollana. Per favellar però di ciocchè a noi si appartiene fu a primi albanesi coloni concessa in Parrocchia rurale chiesina sotto il titolo di San Marco, oggi detta Monte dei Morti, la quale da un Parroco di Greco rito reggevasi, forse perchè un tal rito ricevuto avevano da lor maggiori...

Arch. Vescovile Melfi 1757-1853

tratto da Rionero di Pietrafesa

mercoledì 31 marzo 2010

La Furnaredd'


La Furnaredd' ( nella foto ) serviva ai contadini per mantenere il vino e l'acqua fresca nei periodi estivi durante i lavori nelle campagne.
Di solito era scavata nel terreno e ricoperta di pietre. La bocca era rivolta ad Est.



Era un vero e proprio frigorifero naturale.

venerdì 19 marzo 2010

r' fuc r San Giusepp

Come da tradizione , ogni anno a Rionero in occasione del 19 Marzo festa di San Giuseppe e del Papà, si svolgono fuochi di San Giuseppe o meglio i falò.Tradizione antichissima che risale alla notte dei tempi. Non si sa di preciso a cosa era dovuta ma, presumibilmente, si festeggiava la fine dell' Inverno e l'arrivo della Primavera.Fino a pochi anni fa, si era soliti, nei giorni che precedevano il 19 Marzo, andare per le campagne a raccogliere r' Zeppr ( i rametti delle viti potate e anche i rami di olivo appena potati), fare i Mattlecchj e portarli in paese nella zona di quartiere dove poi si sarebbe acceso il falò.Veniva utilizzato qualsiasi mezzo di trasporto: dal motazzap, alla cariol', a u ciucc' qualcuno anche con il vespino.In questa raccolta erano impeganti tutti i quartieri di Rionero.Si gareggiava a chi faceva il falò più grande. Una volta effettuata la raccolta r r' zeppr' si preparava u Casazz' e su di esso si poneva la bambola ( un fantoccio di pezza ) ripiena di petardi.La sera del 19 Marzo era una vera e propria festa, u Casazz' veniva acceso; si sparavano i trunecchj e si accendevano r' fiammell', si organizzavo balli e suoni.Momento davvero bello e atteso da tutti era quando le fiamme raggiungevano la bambola e questa prendeva fuoco.Si rimaneva vicino alla brace fino a notte tardissima e, al rientro nelle proprie case, la gente si portava un pò di brace per dare un buon auspicio alla casa.Negli ultlimi anni, questa festa si è un pò ridimensionata ma in alcuni quartieri di Rionero viene ancora svolta.Quest'anno i quartieri che hanno organizzato i falò sono:U Chian' r Cicc' tonn' e a Piazza XX Settembre.

sabato 13 marzo 2010

Quando sognavamo GIUSTIZIA E LIBERTÀ

Carissima Barbara, ho voglia di raccontarti tantissime cose (due o tre almeno) ma non so da che parte incominciare. Comincerò allora con un fatto antico, antichissimo, quasi un episodio d' infanzia: che potrebbe, dovrebbe (vorrebbe?) commuoverti. Nei primissimi anni del dopoguerra c' era in Italia una cosa bellissima: il Partito d' Azione. In Lucania l' aveva fondato zio Valentino, con altri giovani antifascisti. Altri antifascisti - giovani o meno giovani - l' avevano fondato in tutta Italia. Il Partito d' Azione veniva fuori da una tradizione degnissima. Dal gruppo di "Giustizia e Libertà"; che era stato fondato da Carlo e Nello Rosselli, due meravigliosi antifascisti fiorentini, che il Fascismo aveva fatto uccidere: esuli in Francia. Il Partito d' Azione è stato l' unico gruppo politico organizzato a fare del vero attivo antifascismo, durante il ventennio, accanto al Pci. I suoi rappresentati avevano fondato il Non Mollare, quando tutti mollavano. Poi andarono, uno dopo l' altro, in galera e ci rimasero per un bel po' . Ernesto Rossi, l' economista ( autore di Abolire la miseria; I padroni del vapore, Settimo non rubare) anche per tredici anni di fila. Chi ha fatto la resistenza? Due gruppi politici: i comunisti e gli "azionisti" (che venivano anche chiamati sprezzantemente "visipallidi" perché non avevano la faccia contentae biscottata alla Berlusconi). In che cosa gli "azionisti" erano diversi dai comunisti? In questo: volevano la Giustizia, ma volevano anche la Libertà. Benedetto Croce diceva che non era possibile. Che se tu vuoi proprio la Giustizia, l' Uguaglianza, finirai fatalmente col rinunciare alla libertà. Farai la fine della Russia di Stalin. Gli "azionisti" erano fermamente avversi alla Russia di Stalin. Mai, neppure per un momento, cedettero alle fiabesche sciocchezze che sulla Russia comunista i comunisti italiani allora dicevano. E che si sono dimostrate sanguinosamente false. Questo li rendeva invisi a Dio ed ai nimici sui. Ai conservatori come ai comunisti ortodossi (con i quali conservarono però sempre un rapporto di affettuosa, rissosa familiarità). Nel Partito d' Azione militavano tutti (o quasi tutti) gli intellettuali italiani di quegli anni. Quelli grandi, di cui non ti faccio i nomi perché non ti direbbero nulla (De Ruggiero, Omodeo, Arturo Carlo Jemolo, Calamandrei, Codignola) e tanti altri più piccoli. Anche per questo, anche per questo prestigio, il Partito d' Azione ebbe subito fortuna, in tutto il Paese. Che aveva contribuito a liberare dai fascisti e dai nazisti. Pensa che a Rionero, paesino di dodicimila abitanti, la sezione fondata da zio Valentino contava seicento iscritti. Poi cosa accadde? Accadde che questi intellettuali si miseroa litigare fra di loro. Arrivò la scissione, consumata in un dolorosissimo, drammaticissimo congresso a Roma, al Teatro Italia (che si trova intorno a Piazza Bologna). Il Partito d' Azione si sciolse. I suoi rappresentati più bravi si distribuirono tra i vari partiti della sinistra italiana. E vi hanno fatto le cose migliori. Cosa sarebbe stato il Partito Repubblicano italiano senza Ugo La Malfa? Cosa sarebbe stato il Partito Socialista italiano (quello di Nenni, non quello attuale di Craxi) senza Riccardo Lombardi? E questi nomi forse ancora dicono qualcosa (spero) a quelli della tua generazione. Il Partito d' Azione si sciolse, ma non si dissolsero nel nulla i suoi componenti: anche quelli più piccoli, in ogni senso. Continuarono ad operare nella società civile, dentroe fuorii partiti, dentroe fuori le Università, dentro e fuori i sindacati. Mai rassegnandosi all' ondata di restaurazione che intanto era arrivata. La prima delle tante ondate di restaurazione che di tanto in tanto affliggono il nostro Paese. Ondata di restaurazione propiziata da un enorme imperdonabile errore del Partito comunista di allora: presentandosi come paladino della Russia di Stalin - che aveva impiccato abbondantemente, che continuava ad impiccare allegramente - i comunisti resero più agevole l' inondazione democristiana del 18 aprile 1948. Inondazione che perdura; dalla quale cerchiamo faticosamente di riemergere. Fra quegli "azionisti" c' era anche il tuo papà: piccolo, piccolissimo allora; piccolo, piccolissimo sempre. E che non ha mai dimenticato quel giorno lontano. Quando la notizia ufficiale dello scioglimento arrivò. Quando la sezione del Partito d' Azione di Rionero fu chiusa. Quando quelle bandiere gloriose, ardimentose (le bandiere del Partito d' Azione erano rosse, con lo stemma di G. iustizia e L. ibertà) nel mezzo: gli azionisti si chiamavano "compagni") si ammonticchiarono nel cortile della nonna: dove erano state portate amorosamente da zio Valentino. E poi furono mandate al macero. Mai dimenticato. Perché morì il Partito d' Azione? Ce lo si è chiesto molte volte. Dedicò all' interrogativo le sue riflessioni Palmiro Togliatti. Forse abbiamo una spiegazione. Che potrebbe interessare l' antropologo. Morì perché terribilmente astratto. Composto da intellettuali, aveva l' intellettualistica convinzione che gli uomini fossero fatti di sola razionalità. E che quindi bastasse fare appello alla loro ragione per convincerli a votare. Gli uomini (tutti gli uomini e tutte le donne: anche noi, non solo "gli altri") sono fatti anche di miti, di pulsioni profonde e inconfessabili, di ambizioni, di interessi. In una cosa invece il Partito d' Azione aveva ragione. Così come «non si fa la poesia con i sentimenti, ma con le parole» (l' ha detto Paul Valery) non si costruisce la società giusta con i sentimenti, siano pure i più nobili, ma con le articolazioni istituzionali. Ed è questo che avrei voluto dire agli studenti dell' Università di Roma; è questo che vorrei dire a tutti coloro che stanno dentro a questo dibattito sulla nuova sinistra da costruire: a quelli del no, a quelli del sì, a quelli del forse. Lo avrei detto - tanto per cambiare - nella forma di un raccontino. Che si riferisce anch' esso - tanto per non cambiare - alla mia "infanzia" lucana. Il racconto ha una premessa. La seguente. Non è che sia venuta meno in noi la voglia di volare. Negli "azionisti" non viene mai meno. E adesso tu sai che tuo padre è un "azionista": non nel senso finanziario del termine, fortunatamente. No, la voglia di volare alto, di non strisciare per terra, di non vegetare, è sempre quella. Ma come si fa a volare? Quand' eravamo ragazzi, a Potenza, ci pensavamo sempre, talvolta ne parlavamo. Una volta, passeggiando passeggiando, ci trovammo sul ponte di Montereale, che è altissimo e maestoso. Uno di noi, che si chiamava Brucoli - e quindi era della dinastia dei gelatai di Potenza, e quindi apparteneva alla buona società potentina - ad un certo punto si affacciò dalla spalletta del ponte, guardò in giù (cinque metri di altezza). Poi prese il suo bastone - si poteva permettere di andare in giro con un bel bastone liberty fra le mani - e lo buttò. Poi chiese a noi - che con lui ci eravamo affacciati a guardare nella valle sottostante - ha volato il mio bastone? Si è fatto forse male? E allora volerò anch' io. Si buttò giù, e si ruppe tutte e due le gambe. La voglia di volare - generosa e legittima - che animava i comunisti classici, che anima oggi alcuni gruppi di studenti, rassomiglia a questa. Non porta da nessuna parte. Solo ai disastri, personali o collettivi. Abbiamo imparato poi a volare. Ma rispettando le leggi di gravità, non violandole. Ma rassegnandoci ad essere - paradossalmente - più pesanti dell' aria, senza illuderci di poter mai diventare più leggeri. Ma costruendoci dei dispositivi artificiali e complessi: estremamente artificiali, estremamente complessi. Che non ci danno la soddisfazione del volo umano, ma ci fanno andare per aria, a rispettabile velocità. E non è questa la civiltà, non è questo il progresso? La civiltà è una continua costruzione di protesi, un assiduo artigianato ortopedico. Per correggere l' inuguaglianza di partenza nel senso dell' uguaglianza; per correggere le ingiustizie di base nel senso della giustizia. Non ci si può aspettare che la libertà di stampa arrivi solo perché da qualche parte qualcuno si illude di aver costruito, o trovato, o inventato l' "uomo nuovo". Solo perché è stato eliminato il capitalismo. Come pensavano i comunisti dell' altro ieri. Come pensavano quegli studenti di ieri. Questo vale a maggior ragione per la libertà di stampa: che si costruisce - e si custodisce - non con gli esorcismi verbali all' indirizzo del capitalismo, ma con un artigianale lavoro di revisione delle leggi. Tenendo conto di resistenze, inerzie, interessi, eccetera. Cara Barbara, non sono sicuro che questi uomini di sinistra del "forse" siano migliori di quelli del "sì", e di quelli del "no". Però sono la mia cultura, la mia biografia, la mia storia, hanno qualcosa del vecchio (e mai morto) spirito azionista. Provarci sempre, non cedere mai. Senza paura di fare. Senza paura di sbagliare. Un abbraccio dal tuo papà - BENIAMINO PLACIDO

Repubblica — 08 febbraio 2010 pagina 33 sezione: CULTURA

sabato 6 marzo 2010

CHE FESTA CONTADINA IN CAPO AL MONDO

di BENIAMINO PLACIDO

POETICO e felice il Natale del 1941 a Rionero in Vulture, Lucania: altitudine metri 650, abitanti dodicimila, comprese le frazioni. Non lo dico perchè allora si era piccoli, o perchè la memoria successiva è intervenuta ad abbellirlo. No, fu proprio così - come dire? - oggettivamente. E così in famiglia lo ricordiamo. Era il secondo Natale di guerra. Gli uomini erano "fuori": chi in Eritrea, chi in Tripolitania. A casa erano rimaste le donne e noi bambini. Drammatica non era la guerra. Drammatico era il fatto che non si sapeva se sarebbe arrivato per tempo il sale. E senza il sale non si poteva ammazzare il maiale. Cioè, no: certo che lo si poteva ammazzare, e lo si sarebbe ammazzato, comunque. Ma senza il sale non lo si poteva conservare. E pensare che proprio quell' anno, quello cresciuto in casa nostra - a base di granturco, in uno sgabuzzino nel cortile, con un puzzo tremendo che non mi fa apprezzare i libri e i romanzi nostalgici degli odori - quello cresciuto con amore e tremore in casa nostra, dicevo, era una meraviglia di maiale. Intanto, non si era mai ammalato. E poi, era venuto su più grasso e florido di quasi tutti gli altri maiali dei vicini (quasi tutti: c' era sempre qualche maiale più grasso e più fortunato, nel vicinato). Quindi fu un Natale di grande trepidazione. Perchè Santa Margherita di Puglia era un posto remoto, inaccessibile, in capo al mondo. Forse a cento, forse addirittura a duecento chilometri di distanza. Nessuno di nostra conoscenza ci era mai stato. Chissà perchè, le comunicazioni stradali si erano interrotte. I camion col sale non volevano arrivare. Ma il Natale arrivò comunque, e fu comunque degnamente festeggiato. Le donne fecero una quantità sterminata di "pettole", lunghe frittelle tubolari che venivano acciambellate e buttate nella padella. Ogni anno si ingaggiava una gara. Se facevano prima loro a friggerle o noi ragazzi a mangiarle. Vincevamo noi, regolarmente, ogni anno. Vincemmo anche quell' anno, a mani basse. Poi c' erano i polli cresciuti in casa, poi c' era l' olio, poi c' era la pasta fatta in casa. Insomma, sapevamo che saremmo sopravvissuti. E così è stato. E poi c' era - per aiutarci a sopravvivere - la convinzione fermissima che quella guerra così com' era venuta se ne sarebbe andata. Gli uomini sarebbero tornati a casa. Era certo, bastava aspettare. Ci sarebbero state polveri miracolose che avrebbero lavato piatti e pavimenti senza la soda caustica e la "lisciva" che rovinavano alle donne la schiena e le mani. Forse in ogni casa ci sarebbe stata, oltre all' acqua fredda, anche quella calda. Forse ci sarebbe stato il telefono e la televisione. Forse in ogni casa ci sarebbe stato un frigorifero. Il caffè e lo zucchero sarebbero tornati in abbondanza. Le scarpe si sarebbero comprate nuove, qualche volta. Non sarebbero state mandate ogni tre mesi a risuolare. Con questo progresso, con queste "comodità", gli uomini sarebbero diventati pacifici e felici. Perchè, cos' altro se non l' indigenza li rendeva irrequieti e infelici, qualche volta? Fu un Natale con poco da mangiare e pochissimo da sperare, quello del 1941. Un bellissimo Natale.
Repubblica — 24 dicembre 1985 BENIAMINO PLACIDO

venerdì 5 marzo 2010

La Chiesa dei Morti


....ha osservato che la Congregazione del pio Monte dei Morti è sita in un angolo del Paese e che misurata nella sua estensione dalla porta grande fino all'Altare Maggiore sia di palmi 62; che colà fino al muro di sagrestia larghi palmi 20 e lunga 22 circa, che nella medesima esistono un pulpito di legno e due confessionili e finalmente nell'interno di essa vi sono sette sepolture con lapidi di pietre bianche. Che inoltre vi è nuova fabbrica aggiunta lateralmente; che dimostra essersi cominciata a perfezionata tra lo spazio di anni 4 la quale consiste in una nave lamiata con la porta grande accosto l'antica chiesa che forma un'intesa e misura circa palmi 88 di lunghezza e larga palmi 21 circa con un coro non ancora terminato lungo i palmi 15 e largo 20; quale nuova aggiunta dimostra non solo tendente a fortificare l'antica angusta chiesa minacciante rovina, che atta al comodo proporzionato dei confratelli e della popolazione cresciuta fino a diecimila anime; per cui venti anni addietro la chiesa dell' enunciato pio luogo fu destinata parrocchia tra le tre che ne compone quella terra...


archivio di Stato-Napoli Real Camera di Santa Chiara, Bozze di consulta

Da Rionero di F.L.Pietrafesa

lunedì 1 marzo 2010

Calosc'

Calosc' era un soprannome Rionerese e fu attribuito a un fabbro un certo Carmine Brienza, in quanto soldato a Cuneo nella Grande Guerra del 1914-1918, comprò un paio di calosce per non sporcare le scarpe. Venuto in licenza a Rionero, qualche amico vedendolo con quelle copriscarpe del tutto strane e sconosciute, chiese cosa fossero. Carmine rispose in dialetto: Cretino so' r' calosc'. Da allora fu chiamato appunto Calosc'.

da Il Teatro a Rionero maschere e tradizioni di M. Corona

giovedì 25 febbraio 2010

Dal Catasto Onciario, Archivio di stato Napoli 1753

Queste le contrade ove i rioneresi coltivano i campi e le vigne:
S. Antonio, Pietra di Solofra, Cugno di Atella, Valloni, Confina di Ribacanna, Serro di San Francesco, Scavuni, Gaudo, Ventarulo, Torre, Fontanelle.

Contrade abitate dai rioneresi:
Monte dei Morti, alla Via di Atella, contrada che va verso Barile, contrada del Piano di Chiancantina che va verso Sant'Antonio, contrada che dalla valle di Sant' Antonio va verso la Piazza, contrada che dalla Piazza va verso l'Annunziata, contrada che gira diestro la Costa verso ponenete, contrada che dal Piano della Costa va verso Atella.

fonte Rionero F.L. Pietrafesa

martedì 16 febbraio 2010

La Fiera

La Fiera è sempre stata per Rionero e non solo, un momento commerciale importante, tanto da richiamare l’attenzione dai paesi limitrofi.
Da anni la Fiera si svolge regolarmente in date precise, oltre ai mercati ogni 3° Venerdì del mese.
Si inizia il 25 Aprile con la Fiera di San Marco ( la fer’ r’ Sant’ Marc’). Ricordo che a questa fiera si compravano i Pulcin’ o u Pùrc'.
Il 20 Agosto ( si iniziavano e vedere sulle bancarelle zainetti, quaderni, portacolori, grembiuli, attrezzature per fare la salsa di pomodori…insomma preannunciava la fine dell’Estate e l’inzio della scuola)
L’ 11 Novembre la fiera di San Martino ( per comprare le scale per raccogliere le olive, ultimamente le reti e r’ manuzz’)
L’ 8 Dicembre la Fiera dell' Immacolata.( per me era la fiera di Natale )
Prima dell’ apertura dell’ospedale, la Fiera si svolgeva in Via Roma. Bellissima!
Partiva dal monumento a Michele Granata fino al bivio tra Via Roma e Via Fiera, vicino a u’ Putass’
Li, la Fiera di divideva in due. Una parte proseguiva per Via Roma fino a u Trappit r’ Ciancaglion,
L’altra parte proseguiva per Via Fiera fino su a r’ Furc’.
Nel piazzale, dove ora sorge il Centro Sociale, li si svolgeva il commercio degli animali da stalla e da cortile.
Ogni bancarella sembrava un piccolo negozietto. Si aveva l’impressione che era lì da sempre.
Vicino alla taverna Paradiso, si metteva sempre la bancarella di intimo, proprio sull’incrocio di biforcazione della fiera, la bancarella di giocattoli, su Via fiera i venditori di lampadari e mobiletti, oppure vicino all’ex Jazz bar i venditori di robe usate.
Alla fine di essa, lo spazio riservato anche ai marucchin'.
Particolari erano gli enormi panini che si mangiavano i venditori...non sò, avevano quella particolarità unica, pur di trattenere il cliente e vendergli qualcosa, riuscivano a mangiare e nello stesso tempo parlare. Bòh...quel modo di fare a me faceva venire l'acquolina in bocca!

domenica 14 febbraio 2010

Una ricetta lucana dell'antica Roma


Maiale ortolano


il maiale ortolano va dissossato per la gola come se fosse un otre. Va aggiunto ad esso un pollo ripieno, tagliato a pezzetti, di tordi, di beccafichi, di salsicce e della sua stessa carne, di lucaniche, di datteri disossati, di bulbi fabrili (affumicati e seccati al fumo di cucina), chiocciole sgusciate, malva, biete, porri, sedano, cavoletti lessati, coriandolo, pepe a chicchi, pinoli; bagna il tutto con 15 uova, e salsa cui avrai aggiunto dello zenzero; ci aggiungerai delle uova tritate. Cuoci e rassoda. arrostiscilo in forno. Poi lo taglierai sul dorso e lo bagnerai con questa salsa: mescola del passito con miele e poco olio. Quando bollirà legalo con l'amido.


Porcellum hortolanum: porcellus hortolanus exossatur per gulam in modum utris. Mittitur in eo pullus isiciatus particulatim concisus, turdi, ficedulae, isicia de pulpa sua, lucanicae, dactyli exossati, fabriles bulbi, cocleae exemptae, malvae, betae, porri, apium, cauliculi elixi, coriandrum, piper integrum, nuclei, ova xv superinfunduntur,liquamen piperatum. In furno assatur. Deinde a dorso scinditur, et iure hoc perfunditur. Piper teritur, ruta, liquamen, pasum, mel, oleoum modicum. Cum bullierit, amulum mittitur.

venerdì 12 febbraio 2010

Raccolta differenziata rifiuti

OOOOOOOOhhh..finalmente anche a Rionero ci sarà la raccolta differenziata dei rifiuti.
Ci sono tre contenitori per tre tipolgie di rifiuti.

Ricapitoliamo:

Contenitore GIALLO per raccolta multi materiale come: carta, giornali, riviste cartoni di imballaggio, plastica, alluminio, scarti di legno

Contenitore VERDE per la raccolta del vetro ( e solo vetro );

Contenitore MARRONE per rifiuti solidi urbani non recuperabili: cosmetici, pannolini, lampadine, polveri di aspirapolvere, cocci di ceramica.

Naturlamente, per chi ha la stufa o il camino, assicuriamoci che la cenere sia ben spenta altrimenti vi lascio immaginare la fine che faranno quei bidoni.

.....mi raccomando ( me compreso ), aiutiamo la raccolta differenziata, ne vale per il decoro di Rionero, della nostra salute e sopratutto per l' ambiente. Sarà un segno di civiltà!

ulteriori informazioni sul sito del nostro comune

www.comune.rioneroinvulture.pz.it

mercoledì 10 febbraio 2010

La Controra

Ma chi era o cos’era la Controra?
Per noi bambini degli anni 60 -70 e 80 era un personaggio inventato dalle nostre mamme, diverso da Pappacionn'; creato nelle loro fantasie per evitare che i bambini, nei pomeriggi assolati di piena Estate, uscissero a giocare per le strade.
L’orario della Controra era ben definito e andava dalle 14:00 alle 17:00.
I bambini, venivano messi a letto e a loro veniva raccontato che la Controra stava nei paraggi, pronto a catturare i bambini in strada.
I racconti sembravano quasi veritieri, a volte bastava anche qualche folata di vento di Favugn’ cavr’, rumori strani, ombre di qualche gatto di passaggio sotto le finestre messe in risalto dal buio della stanza o qualche macchina di passaggio per farci immaginare che il brutto personaggio era nei dintorni.
Poi con la voce bassa, quasi a non voler farsi sentire dalla Controra le nostre mamme ci dicevano:
Sent’, sent’ mo’ iè passat la Contror’.
Hai sentut’ la macn’? mmmm chissà ndò s’ jè fermat.
Durm’ e statt’ cett’. Quir’ se pass ra sott’ la fenestr’ e t’ sent’ parlà ‘n’nz’n’ vai chiù.
Chissà che r’ fac’ a querj criam ca aggapp’… lè lè nun c’ voglj manc' pensà!
Noi bambini impauriti ma nello stesso tempo eravamo al sicuro, protetti dalle nostre mamme accanto a noi sul letto, la Controra non ci avrebbe mai catturato!

martedì 9 febbraio 2010

La neve


Riprendo la poesia di mio fratello Nicola "Nev'ch" per ricordare i momenti in cui a Rionero la neve che cadeva ne era tanta.
Gli anziani ricordano ancora quando la quantità di neve che si raccoglieva ne era così tanta che erano costretti a fare le gallerie per porte uscire fuori di casa, oppure quando davanti alle porte dei rioneresi la neve diventava gialla perchè in mancanza di servizi igienici nelle case...........bèh da allora il detto: quann' s' squaglj' la nev' enz'n for' i strunz'!
Ricordi recenti invece, di quando andava via la corrente elettrica la notte e dentro le case si accendeva u' cirocin' per fare un pò di luce.
Mai addormentarsi cu' lu' cirocin appicciat', si sentiva urlare: Uagliò stut' lu cirocin' se' no se frec' tutt' l'arj.
Era consuetudine durante le nevicate anche la mancanza di acqua; puntuale come la mancanza di elettricità
Ricordo che a San Francesco mancava l'acqua perchè scoppiavano i tubi alla Cruciecchj.
Tutti i sanfrancescani a riempire l'acqua alla villa alla stazione.
Durante le nevicate il contadino di Rionero non stava con le mani in mano. Aveva sempre qualcosa da fare:
Cuvrnà r' frusc'cul :cuneglj e gaddin' con frunn' pi i cuneglj e u pulon p' r gaddin': però...come era gustosa quella carne di conigli e galline cresciuti con alimenti naturali.
Cuvrnà u mul, con fieno o d' urscj;
Oppure in casa vicino alla stufa o al camino faceva la sc'nestr ( la ginestra per legare le viti ). Faceva tanti mattlecchj e poi bruciava u cul' ( bruciava i filini dell'estremità posteriore della ginestra );
I contadini più esperti si dilettavano a fare i panar', cest' e i scupedd'.
I tempi odierni, bèh.... di neve ne fa poca, e quando la fa, il rionerese rimane in casa a guardare la TV,tanto la corrente elettrica non va più via.
R' r' frusc'cul oramai non se ne ha più l'esigenza, tanto supercati e macellerie ci abbuffano di carne e uova di tutti le varietà

domenica 7 febbraio 2010

La Francesca

La Francesca è una località ben conosciuta a noi rioneresi.
Si trova sul confine del comune di Atella ed ha una peculiaretà: lì vi si trovano le fonti di acqua minerale acidula ( acqua acetl' ). Infatti proprio in questo luogo ci sono aziende che imbottigliano l’acqua minerale e la esportano in tutta Italia.
Le aziende sono:
Cutolo;
Traficante attualmente è della Coca Cola che imbottiglia la Lilia;
Fonte Itala
E fino a qualche trentennio fa vi era anche la Fonte Pompei.
Ma, parlo sempre di circa una trentintina di anni fa, nella zona delle sorgenti vi si trovava una fonte libera, cioè una fonte con due canali dalla quale sgorgava liberamente l’acqua
Per noi rioneresi era una prelibatezza. Ricordo che almeno una volta al mese, era consuetudine andare a riempire le bottiglie di acqua.
Mezzi utilizzato per arrivare alla fonte erano: u' motazzap’, il vespino anche solo per riempire una sola cassetta, o con il mulo per i contadini che rientravano dal SCAUZACAN'
Sul carrello si caricavano le "cascette" in legno di bottiglie vuote ( di vetro) e via verso la Francesc’.
Per arrivare alla fonte, bisognava attraversare una fiumerella e, arrivati li, bisognava addirittura attendere la fila, tanta era la gente che si approvvigionava di quell’acqua acetl'
L’acqua che sgorgava era tanta e freschissima. Addirittura si potevano riempire due bottiglie alla volta per canale.
Un bel giorno i canali smisero di erogare l'acqua ( l’acqua fu inglobata da una delle aziende di cui sopra ) e per noi rioneresi finì quel via vai alla Francesc’ e ci adeguammo a comprare i fardelli di acqua minerale addizionata di anidride carbonica nei vari supermercati.