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sabato 6 marzo 2010

CHE FESTA CONTADINA IN CAPO AL MONDO

di BENIAMINO PLACIDO

POETICO e felice il Natale del 1941 a Rionero in Vulture, Lucania: altitudine metri 650, abitanti dodicimila, comprese le frazioni. Non lo dico perchè allora si era piccoli, o perchè la memoria successiva è intervenuta ad abbellirlo. No, fu proprio così - come dire? - oggettivamente. E così in famiglia lo ricordiamo. Era il secondo Natale di guerra. Gli uomini erano "fuori": chi in Eritrea, chi in Tripolitania. A casa erano rimaste le donne e noi bambini. Drammatica non era la guerra. Drammatico era il fatto che non si sapeva se sarebbe arrivato per tempo il sale. E senza il sale non si poteva ammazzare il maiale. Cioè, no: certo che lo si poteva ammazzare, e lo si sarebbe ammazzato, comunque. Ma senza il sale non lo si poteva conservare. E pensare che proprio quell' anno, quello cresciuto in casa nostra - a base di granturco, in uno sgabuzzino nel cortile, con un puzzo tremendo che non mi fa apprezzare i libri e i romanzi nostalgici degli odori - quello cresciuto con amore e tremore in casa nostra, dicevo, era una meraviglia di maiale. Intanto, non si era mai ammalato. E poi, era venuto su più grasso e florido di quasi tutti gli altri maiali dei vicini (quasi tutti: c' era sempre qualche maiale più grasso e più fortunato, nel vicinato). Quindi fu un Natale di grande trepidazione. Perchè Santa Margherita di Puglia era un posto remoto, inaccessibile, in capo al mondo. Forse a cento, forse addirittura a duecento chilometri di distanza. Nessuno di nostra conoscenza ci era mai stato. Chissà perchè, le comunicazioni stradali si erano interrotte. I camion col sale non volevano arrivare. Ma il Natale arrivò comunque, e fu comunque degnamente festeggiato. Le donne fecero una quantità sterminata di "pettole", lunghe frittelle tubolari che venivano acciambellate e buttate nella padella. Ogni anno si ingaggiava una gara. Se facevano prima loro a friggerle o noi ragazzi a mangiarle. Vincevamo noi, regolarmente, ogni anno. Vincemmo anche quell' anno, a mani basse. Poi c' erano i polli cresciuti in casa, poi c' era l' olio, poi c' era la pasta fatta in casa. Insomma, sapevamo che saremmo sopravvissuti. E così è stato. E poi c' era - per aiutarci a sopravvivere - la convinzione fermissima che quella guerra così com' era venuta se ne sarebbe andata. Gli uomini sarebbero tornati a casa. Era certo, bastava aspettare. Ci sarebbero state polveri miracolose che avrebbero lavato piatti e pavimenti senza la soda caustica e la "lisciva" che rovinavano alle donne la schiena e le mani. Forse in ogni casa ci sarebbe stata, oltre all' acqua fredda, anche quella calda. Forse ci sarebbe stato il telefono e la televisione. Forse in ogni casa ci sarebbe stato un frigorifero. Il caffè e lo zucchero sarebbero tornati in abbondanza. Le scarpe si sarebbero comprate nuove, qualche volta. Non sarebbero state mandate ogni tre mesi a risuolare. Con questo progresso, con queste "comodità", gli uomini sarebbero diventati pacifici e felici. Perchè, cos' altro se non l' indigenza li rendeva irrequieti e infelici, qualche volta? Fu un Natale con poco da mangiare e pochissimo da sperare, quello del 1941. Un bellissimo Natale.
Repubblica — 24 dicembre 1985 BENIAMINO PLACIDO

2 commenti:

  1. Avevo letto di questo articolo di Beniamino Placido diverse volte, senza mai riuscire a leggerlo.
    Ieri ed oggi ho curiosato un pò fra i post del tuo blog ed ho finalmente letto l'articolo di Beniamino sul Natale a Rionero: l'ho trovato molto bello.
    Grazie per averlo pubblicato.
    Ciao, Gianfranco.

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