…. poi si dirigeva
dietro alla « palombaia di Corona ».
Là c'erano gruppi
di contadini adulti che giocavano a soldi con una palla di ferro.
Scavavano cinque
fori circolari nel terreno: quattro ai vertici di un quadrato immaginario, uno
al centro. Si fissava una distanza convenzionale: di là ognuno dei partecipanti
al gioco, secondo avesse deciso la sorte, doveva tirare a mano la pesante palla
di ferro. Chi l'avesse fatta entrare in un foro esterno, non era tenuto a
pagare la posta; chi non ne avesse imbroccato uno fino all'esaurirsi del turno, pagava
a chi era riuscito ad indirizzarvela più di una volta. Chi invece, per arte o
per fortuna, avesse spinto la palla nel foro centrale, incassava tutte le
poste, tranne quelle che, eventualmente, fossero state messe al sicuro con
punti
realizzati in
precedenza. La posta era, normalmente, di mezza lira.
Tuccio s'incantava
a seguire il gioco e ad ammirare alcuni che erano espertissimi, ma erano anche
impietosi nel canzonare i meno fortunati; allora egli sosteneva tacitamente, ma
con tutto il cuore, quelli che perdevano e pregava Dio che li aiutasse, anche perché,
per lui, cinquanta centesimi erano una somma, e vederli perdere era una pena grande. Gli si
spezzava il cuore quando quei miseri sborsavano una
lira, prendevano mezza lira di resto e poi, per l'avversa fortuna, pagavano
anche questa. Portando la mano alla tasca per rintracciare la bianca moneta, si
sporcavano lievemente di terra la giacca di vigogna nera che avevano indossato
per .la festa domenicale, la stessa giacca del
giorno del matrimonio, che si era fatta piuttosto stretta ed ora si abbottonava
sul davanti con qualche difficoltà.
Tratto da La Mala Sorte di V. Buccino
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