INTERVISTA A CARMINE CROCCO 1903
Documenti psicologici-criminali dal vero
Donatello (Crocco) n. 2351
Due guardie conducono nel cortile innanzi a noi un uomo vecchio, che mal si regge in piedi ma che tuttavia cerca di avanzarsi con una certa energia.
Il prof. Ottolenghi gli va incontro e ci presenta Carmine Donatello di anni settantasei, da Rionero in Vulture che sparse tanto terrore verso il 6°, sotto il nome di Crocco e che condannato nel 1872 a morte dalla Corte di Assise e poi graziato, sta oramai scontando il trentottesimo anno della sua pena.
Ecco i reati pei quali fu condannato: associazione al delinquere contro le persone e contro le proprietà; formazione di bande armate nelle quali esercitò comando; furto qualificato, tre grassazioni con omicidi; quattro grassazioni semplici; nove assassinii; nove omicidi volontari; quattro ribellioni; dodici estorsioni; numero non ben determinate di saccheggi; due attentati per cambiamento di forma di Governo dal 1860 al 1864.
Ha il tipo etnico del suo paese esagerato nelle proporzioni: la sezione cranica e meno sviluppata della facciale: il segmento anteriore e sfuggente. Forte sporgenza delle ossa zigomatiche e della mandibola asimmetria notevole della faccia a destra. Segmento superiore frontale sfuggente: glabella prominente. La mandibola e sviluppata, specie nella parte mediana, il naso grosso, gibboso e deviato a sinistra. Orecchie ad ansa, specie quella di destra.
Il professore gli domanda:
— Come state?
— Male — risponde il vecchio uomo con voce poco intelligibile.
— Quanto tempo siete stato brigante?
— Circa sei anni, due col passato Governo borbonico e quattro con questo.
— Che banda avevate?
— Di duemila uomini perfino!
— Che professione facevate?
— Quella di Abele, fratello di Caino.
— Come?...
— Il pastore, insomma...
— Quanti anni avevate quando vi deste al brigantaggio?
— Cominciai a darmi alla macchia poco dopo l’epoca della leva.
— Quanti anni sono che siete in carcere?
— Trentotto al 6 di agosto.
— Come fu che da soldato diventaste brigante?
— Per una supplica: mia madre morì nel manicomio di Aversa; io avevo quattro fratellini e sei sorelle tutti più piccoli di me, tutte creature...
Il brigante a questo punto interrompe il suo discorsa perché è scoppiato in un dirotto pianto.
Il professore lo invita a mettersi in capo il berretto, ma non c ‘è verso di persuaderlo. Crocco rimanere a capo scoperto.
— Presentai una prima supplica a Ferdinando II perché raccogliesse quelle creature in un luogo qualunque. Non ebbi risposta. Ne mandai una seconda: nulla; allora un giorno dissi al Re, che avevo spesso occasione di avvicinare essendo soldato: o provvedi per quelle creature o ti darà da fa’! Per questa minaccia mi fu inflitto un mese di prigione.
Appena uscito disertai, uccisi due gendarmi e mi diedi alla macchia.
Nello stesso tempo che il Crocco s’è commosso al ricordo della famiglia, quando ha raccontato delle sue minacce e della prima vendetta i suoi occhi hanno lampeggiato, nella sua voce, prima fioca, e nel suo gesto c'era qualcosa che rivelava 1'antica fierezza. — Crocco continua:
Nel '60 si fece la rivoluzione e noi briganti ci unimmo al Governo provvisorio.
Il prefetto del Governo venuto da Torino mi invitò a presentarmi: ma io non accettai per paura che mi facessero subire un processo e mi diedi di nuovo alla macchia.
I nemici d'Italia che stavano con occhi aperti, mi avevano proposto di muovere una reazione contro il Governo provvisorio perché sarebbe riuscito facile fare 1'insurrezione; ma io alzai un giorno bandiera bianca e lasciai la partita politica per darmi di nuovo alla macchia.
— E meglio 1' insurrezione politica o la macchia?
— La politica!
— Durante 1' insurrezione quanti uomini voi comandavate?
— Duemila e settecento.
— Ma quando vi deste alla macchia erano molto meno i vostri sottoposti?
— Dai quattro ai sette.
— Quanti omicidi avete commesso?
— Mi accusano di molti, ma io non ne ho commessi che due.
— Come allora si dice che siete reo di tanti delitti pei quali foste dai giudici condannato?
— Perché io ero il capo e davo gli ordini di ammazzare, ma non uccidevo di mia mano. Quando era decisa la vendetta verso qualcuno, si faceva un piccolo consiglio; il tale, per esempio, non ha voluto mandare quel poco che gli chiedevamo: ebbene ammazzatelo, dicevo io! Se poi non potevano uccidere chi era stato condannato, quello non doveva pero più uscire di casa!
— Che concetto avevate di Vittorio Emanuele II?
— Fu un grande eroe che fece 1' Italia; egli caccio gli stranieri, non troppa gente in casa tua portare perché il mondo e pieno di malizia ed ognuno cerca ciò che gli bisogna: cosa vogliono da noi questi Tedeschi?
— Dunque voi preferite il Governo che successe al Borbone?
— Si, e gli sono anche riconoscente, perché mi ha fatto del bene, mi ha graziato della condanna a morte.
— Avete saputo della morte del Re Umberto? Che impressione vi ha fatto?
Io ho pianto, davvero ho pianto di cuore; se non avessero ammazzato quell'innocente uomo, forse io morivo a casa mia, ai 6 di agosto di quest'anno avrei finita la pena; ucciso Umberto, Vittorio Emanuele III non può aver l'animo di sposto a far grazie; se a me avessero ucciso il padre, io non avrei certo pensato a far del bene, ma a vendicarmi: tutti i condannati hanno detto lo stesso.
— Cosa pensate dei regicidi?
— Gente da poco.
— Sentiste mai parlare di socialismo, di anarchia?
— Si, da qualche condannato stupido che professa queste idee, ed io mi ci sono appiccicato (ho avuto diverbio, questione). E una cosa impossibile pensare all'anarchia; anche Sparta, Tebe, Corinto, Atene furono sotto 1' anarchia, e che vantaggi ne ebbero?
— Come, sotto l’anarchia?
— Si, avevano tre giorni 1'anno di anarchia completa.
— La vita del brigante e brutta?
— E una vita indipendente.
— Ma ammazzare gli altri?
— Il brigante è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde.
— Trovate giusto che l’esercito freni il brigantaggio?
— Si: il brigante che ammazza un soldato, piange; piange pensando che e un uomo che lascia la madre, i figli...
Qui il Crocco scoppia nuovamente in un pianto.
— Come credete che si potrebbe frenare il brigantaggio?
—Colla clemenza.
— Quindi bisognerebbe perdonare i briganti?
— Si.
— Ma quando rubano, estorcono?
— Non si ruba, non si estorce in mezzo alla strada e noi teniamo in odio quello che lo fa.
— Vi è capitato mai di incontrare chi lo facesse nella vostra banda?
— Si, ma allora noi abbiamo fatto si che il birbante cadesse in mano della legge.
— Ma tra i briganti c' e sempre di questa canaglia!
— Noi li esperimentavamo e se non la pensavano come noi, si diceva: « Non ti uccidiamo perché sei una carogna», e lo mandavamo via.
— Il carcere credete sia utile per frenare il brigantaggio?
— Eh! ci si rassegna; nessuno si lamenta della sua condizione, ci si rassegna: ho peccato, devo scontare!
— Credete che dopo una lunga condanna si esca emendati?
— Qualche imbecille c' e sempre che rifà del male.
— Ma la maggior parte?
— Esce corretta ed emendata.
— Voi riconoscete di aver fatto del male?
— Senza dubbio, ho fatto del male alla società, ma io facevo per difendere la mia vita; per essa avrei dato fuoco a tutto il mondo.
— Lo avreste fatto: e lo rifareste?
Eh! chi lo sa? Ora 1'animo mio si commuove per 1' onore che ho avuto, nella mia vecchiaia, di vedere tutti questi signori; non me lo sarei mai aspettato!
— Che ne dite della camorra?
— E la cosa più cattiva del mondo; in essa c' e un sacco di mascalzoni, di miserabili; i camorristi sono come gli anarchici, cospirano sempre, ma sono schiacciati.
— La mafia la conoscete?
— La paragono allo spurgo del mio naso: il mafioso è uno sporcaccione.
— Quale sarebbe il vostro desiderio?
— Di morire dove sono nato.
— Da giovane eravate religioso?
— All’eccesso.
— Ma il sentimento religioso non vi ha mai frenato nella colpa?
— Quando si è nella furia non si rispetta più niente; ma sempre per difendere la propria vita!
— In carcere vi ha giovato la religione?
— Si, ma senza corona! la mia religione e qui (accennando al cuore).
— Facevate vita libertina, vi piacevano le donne?
— Sì, quando l"e trovavo non le lasciavo, ma non amavo molto né le donne, né il vino.
— Che cosa vi faceva più orrore?
— La morte, 1' uccisione.
— Che preferivate dunque?
— Amici no; un po' di pane di granturco e basta.
— Avevate con voi nella vostra banda qualche donna?
— No, quando si trovavano si faceva come il beccafico: si beccava e via.
— Avevano stima di voi le popolazioni della Calabria?
— Pel bene che ho fatto si; quando passavo io tutti mi venivano appresso sicuri, io andavo avanti e dicevo: se volete esser sicuri venite dietro di me: perché io ero astuto, con uno stratagemma ero capace di andare in mezzo all'esercito nemico senza farmi. riconoscere.
— Avete saputo della guerra d'Africa? Sareste voi andato volentieri a combattere laggiù?
— Si, sarei andato anche in una fornace.
— Conosceste Garibaldi?
— Personalmente no.
— Che ne pensate di lui?
— Era un uomo audace. Quello che ha fatto Garibaldi io l’ho tutto qui nel cervello e lo ricordo minutamente.
— Se voi foste stato capo di un esercito come vi sareste comportato?
— Avrei fatto il mio dovere.
Preghiamo il brigante di apporre la sua firma in un foglio che. gli presentiamo, ed egli messosi gli occhiali, lentamente scrive il suo nome, cognome e patria.
Congedato da noi, egli di nuovo colle lacrime agli occhi ci ringrazia della visita, dicendo: “Io sono vecchio, a momenti morirò; vale più questo onore che mi avete fatto che tutti gli onori del mondo!”
tratto da http://www.eleaml.org
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