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domenica 1 novembre 2009

Storie di Rionero

......Raccomando, per questo nostro paese senza tradizioni, e perciò senza costumi e senza libertà, raccomando che Giovanni, su quei suoi quadretti nitidi, continui la paziente raccolta delle schegge della lingua albanese, lui che annota tutte le cose del mondo con accuratezza da notaio, tentando di fissarne solidità e grazie, labilità e incertezze, con sguardi avidi in preda al rimorso e per allontanare la sporcizia e il disordine della morte. Lui, in quella farmacia di piazza che è un viavai di malati, pastori, bambini da vaccinare, ma anche di sfaccendati attratti dalle spire di spezie, droghe, oppiati, vernici, tabacco. La lingua degli albanesi ora è diventata parte della nostra lingua; parte sommersa ma resistente come il ferro della "chisistra" o gli anelli della "camastra"; fiera come il caprone "zimarro"; raccolta come lo sbocchio delle "zizze" o la quiete d'angolo di un "zinno"; folle come le raffiche di nuvole di lucciole "calacalascie";sazia come un beccafico "fucetola"; cupa come il "cuclo" della focaccia schiacciata, veritiera come un "accinicato" con gli occhi da albagia o come il rumoroso e disprezzato "tuzzolare" di nocche sbattute su porte sbarrate, larga come la "racana" stesa ad asciugare e a ventilare granaglie....
........Nomino mio erede universale Pasquale; i cui ozi ho sentito sempre dolorosi, nelle sue giornate di riscossioni, escussioni, sanzioni, amministrazioni. A lui lascio i vigneti del Serro, di Pian dell'Altare, i seminativi di Pallettieri, i pascoli della Bufata e di Bucito, la taverna di posta della via nuova, la cantine di vico Santuomunno, gli orti della Fiumara, case e botteghe di Rionero.......Sia rimessa puntualmente a Benedetto la rendita annua della morra di pecore delle Forche fino a compimento dei suoi studi a Parigi......Voglio che, al tempo delle maschere e dei suoni - e dei malvestiti! - sia macellato e ripartito ai poveri, ogni tanto, il più grande dei porci, dinanzi alla Chiesa di Sant' Antonio Abate, nelle cui grotte, di nostra proprietà, abbiano le nostre più grandi porcilaie.

Ciriaco dei Granata, Dicembre 1764, nella casa avita di Rione dei Morti.

D.S. Che sia estinto, alla scadenza del 1766, il debito da me contratto per le ristrettezze di quest'anno, di tremila ducati al nove per cento, con la famiglia Fortunato.
In quella notte di luna, hanno visto passeggiare insonne nell'immenso parco di casa, don Cherubino, come gravato di colpe e di debiti indicibili e irredimibili. La mia famiglia non deve gravare la famiglia Fortunato di altre pene, oltre quelle che già ha per la cupidigia di farsi padrone di tutto.

tratto da : Rionero Storie sparse e disperse di Nino Calice

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